di MARCO PATRICELLI L'UOMO più potente della terra si rivolgeva a lui chiamandolo «signor cameriere».
Era il 1942 e Paolini si trovava a Bad Mergentheim, in Germania, dove lavorava all'Hotel Kurhaus.Proveniva da Villa Santa Maria, paese abruzzese in provincia di Chieti considerato la patria mondiale dei cuochi e dei camerieri. «In Germania si guadagnava molto bene e avevo bisogno di danaro per riscattare i terreni di mio padre» racconta. Durante una cena uno dei commensali, un gerarca nazista, gli domanda a bruciapelo se è interessato a lavorare in un altro posto, con un congruo aumento di salario. «Per me non c'erano problemi. Ma volevano sapere se io fossi di razza ariana. Non seppi rispondere, allora quell'uomo mi chiese quale fosse il mio paese e solo più tardi seppi che attraverso l'ambasciata tedesca era stato chiesto di compiere accertamenti in Italia. Erano andati i carabinieri da mio padre per informarsi se fossi di razza ariana». A quel punto Paolini viene sottoposto a visite mediche presso un ospedale e quindi condotto con una grossa automobile nera all'Hotel Berchtesgaden Hof, sulle Alpi Bavaresi. È uno dei pochi uomini e l'unico italiano in servizio al Nido dell'aquila. «Dovevamo superare quattro posti di blocco delle SS lungo una strada piena di curve per arrivare da Berchtesgaden all'Obersalzberg - racconta Paolini -, con tanto di lasciapassare. Mi trovai in un altro mondo. Avevo persino il telefono in camera, io che provenivo da un paese dove non ce n'era neppure uno, e un cameriere che serviva me». Ben presto scopre perché tanta sicurezza e tante precauzioni. E' il giorno in cui nel salone entrano i gerarchi e i capi militari del Terzo Reich, Hermann Göring, Heinrich Himmler, Karl Dönitz, Josef Goebbels. «Da un ingresso sul retro, strettamente sorvegliato dalle SS, a un tratto si materializzò la figura di Hitler». Paolini, in frac e guanti bianchi, è incaricato dal maître di servire al suo tavolo. «Era sempre molto cortese, non alzava mai la voce, sapeva stare a tavola. Mangiava poco e solo piatti vegetariani, verdura, patate, insalata, a volte un po' di baccalà e pretendeva che nessuno fumasse in sua presenza. Una volta scorsi Eva Braun, davvero una bella donna - aggiunge mentre gli occhi azzurri brillano nel rievocare quella figura che il personale di servizio non era autorizzato neppure a fissare in volto - che in bagno faceva dei gargarismi per nascondere a Hitler che aveva fumato poco prima una sigaretta. Un'altra volta - ricorda - servìi a Göring, che mi diceva spesso "bravo, italiano", dei piselli con prosciutto. Hitler lo fulminò con una battuta, forse riferendosi alla stazza del comandante della Luftwaffe: "Non sapevo che il maiale mangiasse il maiale"». Paolini rimane in servizio al Nido dell'aquila fino al 4 febbraio 1943. Deve tornare in Italia perché richiamato alle armi, ma il console italiano a Monaco, originario del Chietino, gli dà una mano. «Roberto de' Cardone, mi sembra si chiamasse, mi disse che avrebbe potuto evitarmi il rimpatrio se fossi andato a servizio da lui». Non gli occorre certamente, ma il direttore dell'Hotel Berchtesgaden Hof gli compila una bella lettera di referenze che si chiude con un beneaugurante «Wir wünschen ihm für die Zukunft alles Gute». Paolini si ritroverà a Norimberga, ironia della sorte, a pochi metri da una delle ville di Hitler, che avrà occasione di rivedere nelle stesse circostanze del Berghof. Dopo un bombardamento alleato che lo intrappola nelle cantine e sotto le macerie per due giorni, il cameriere abruzzese sale nella stanza del Führer, dove non era mai potuto entrare, e mette in tasca una piccola scultura in ferro battuto. Un souvenir che oggi conserva nella sua casa di Villa Santa Maria, il paese di cui nel dopoguerra è stato sindaco per quasi venti anni e in cui ha fatto realizzare un monumento ai cuochi e ai camerieri.