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di ENRICO CAVALLOTTI Non sono stati il «Sacre» e Stravinskij a sovvertire o a rivoluzionare ...

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Il compositore russo, grazie a quello e ad altri capolavori, ha disperatamente lottato, ancorché invano, per serbare in vita il linguaggio dei suoni della civiltà occidentale: che s'era esaurito nel cromatismo wagneriano, e s'andava esaurendo con l'epigonismo impressionista e con la riforma atonale eppoi dodecafonica della Seconda Wiener Schule. Stravinskij, l'ultimo dei conservatori, gran reazionario che, sotto smoderatezze, dissonanze, garbugli accordali e deflagrazioni ritmiche a magnificarne il genio, ha inteso salvaguardare la postrema decenza d'un sistema linguistico che aveva adempiuto alla propria funzione storico-espressiva. E l'aveva consumata in parallelo con un'epoca e con un pensiero estetico-filosofico che avevano decretato dapprima l'utopica egemonia dell'Io eppoi il suo smacco: ossia dall'Idealismo classico tedesco al Positivismo: dalla Révolution borghese dell'89 al primo conflitto mondiale: naufragio borghese. La caduta dell'Io lamentava la fine della musica. È stato Stravinskij, sotto questo riguardo, un eroe votato al nulla: genio che s'è studiato col suo multanime estro d'arrestare il corso della Storia lungo la barbarie del Novecento. Taluni lo hanno imitato in guisa pedestre; talaltri con piú acuzie. Ma la musica del secolo bestiale non ne ha tenuto conto nell'andare alla deriva tra cerebralismi, insulsaggini e masochismi, donde non ha fatto tuttora ritorno.

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