Luciano Berio, 78 anni, è morto ieri pomeriggio al Policlinico Gemelli di Roma dove era ricoverato per ...
di ENRICO CAVALLOTTI DOPO Goffredo Petrassi, Luciano Berio. Berio, o della fantasia. Una fantasia che nasceva dall'intelligenza e combatteva in un mondo, musicale e non solo, che pare precipitato nel chiuso di un esasperato e contorto intellettualismo, oppure nella melma di una banale e sciagurata accondiscendenza ai gusti piú triviali: tra furbesche contaminazioni e alienati minimalismi. Oggi la balbuzie creativa maledice alla nostra pretesa di vette troppo alte: in verità, sono le ali ad esser troppo corte. Nessuno può piú negare la crisi spaventosa che ha inghiottito la musica nell'ultimo secolo. In tale temperie Berio è stato il compositore dall'ingegno aperto, ilare e curioso; libero da imposizione di scuole, ribelle alle etichette; insofferente vuoi alle rovine tra cui vagano i vecchi canoni accademici, vuoi alle fumisterie di un'avanguardia radicale ormai stinta, in via di putrefazione. Berio era brio di pensiero e vivacità di segno. Era la volontà dell'anticrisi, anzi, la negazione stessa della crisi, nonostante l'impasse in cui si dibatte la musica contemporanea. Berio era alacre ricerca di un linguaggio che prende il proprio bene ovunque lo trovi: dal presente, dal passato e dagli arcani barbagli del domani: come a dire dall'utopia. In Berio c'era l'arguzia illuministica e la sapida sottilità del Settecento, con quel tipico gusto del fare decente e ben ordinato. Ma anche il respiro mosso e sontuoso dell'Ottocento, coi suoi munifici opificî spirituali. E c'era altresí il piacere della flânerie ardimentosa tra i paessaggi piú elusivi e rastremati che sono proprî al linguaggio dei nostri tempi. Nella sua musica la tradizione è stata rivissuta coi modi dell'attualità. L'espressione esatta ed esaustiva, e però in lui, sovente, le tracce di un trasognamento: di un respiro lirico. Ci diceva il maestro: «La musica è l'espressione di emozioni, anche se qualcuno lo contesta». E tuttavia le emozioni che ci ha donato il valoroso compositore ligure non sono di quelle a buon mercato. Anche la citazione piú popolare, anche il materiale piú vile e consunto sul suo pentagramma si trasfiguravano in decoro intellettuale, in dignità di alta astrazione poetica. Berio era nato a Oneglia nel 1925. Allievo di Ghedini e Dallapiccola, fu tra i primi in Italia a dedicarsi alla musica elettronica e nel 1954 fondò con Bruno Maderna lo Studio di Fonologia musicale della Rai di Milano. Passò attraverso le esperienze delle varie Scuole europee e ne sperimentò con spirito critico tecniche e costrutti, senza mai aderirvi in modo dogmatico. Considerato tra gli esponenti di maggior spicco ed autorevolezza delle avanguardie del secondo '900, tra Cage, Stockhausen, Penderecki, Boulez, il suo genio fu condizionato dallo stato della musica contemporanea: notoriamente culmine di una crisi che ha rasentato il silenzio tout-court. Le sue opere teatrali sono state rappresentate nei teatri e nei festivals piú prestigiosi del mondo riscuotendo accoglienze di pubblico e di critica di segno contrario. Il Teatro d'opera, proprio nell'età nostra ha segnato la sua conclusione, trasformandosi in luogo di culto museale, e il compositore ligur ed il suo talento ne hanno subite tutte le acri conseguenze. Da ultimo era stato nominato presidente dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia: l'impostazione delle stagioni concertistiche ci aveva trovato contrari in ragione delle programmazioni troppo inclinate sul versante novecentesco. Il maestro riteneva quasi un obbligo morale la diffusione tra il largo pubblico delle composizioni che erano, che sono e che saranno, l'effigia della decadenza e del morbo della musica moderna. Ne rispetteremo l'imperativo categorico, la fede di un artista di vaglia in ciò che gli fu sottratto dalla Storia: vale a dire la fertilità di un'epoca fausta.