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Rocco Papaleo: «Sono pieno di solitudine dall'infanzia»

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Ho vissuto sino a 18 anni in Basilicata. Poi sono arrivato a Roma all'Università, ma non ho terminato gli studi. Sono figlio unico, purtroppo. Mio papà era impiegato, mia madre casalinga. Un'infanzia molto solitaria». Conosce la solitudine? «È una parte del mio carattere. Una parte che oggi è in me. Ricordo soprattutto le serate buie d'inverno in compagnia solo dei miei genitori. Forse un fratello avrebbe reso le serate un po' meno cupe». Attore ma soprattutto cantante mancato? «Ho sempre amato moltissimo la musica e ho suonato la chitarra per hobby. Mi sono divertito a scrivere canzoni ironiche, ho subito il fascino di Rino Gaetano. Volevo fare il cantante, partecipai ad un concorso di voci nuove, l'organizzatore fu arrestato e la mia storia di cantante si interruppe. Non la passione che provavo e provo per la musica. Quindi mi iscrissi ad una scuola di recitazione. Ero disposto a tutto, pur di vivere». Ricorda la sua prima volta di attore? «Nell'89 fui scritturato da Bruno Corbucci per "Classe di ferro" una serie di telefilm per Italia 1. Ebbi un discreto successo e mi conobbe il grande pubblico. Poi recitai ne "I laureati di Pieraccioni". E poi tante altre occasioni. Il pranzo della domenica "l'ultima fortuna che mi è capitata"». Le piace il cinema italiano? «Credo stia attraversando un bel momento. Ho visto recentemente un film bellissimo "L'imbalsamatore". Comunque gli italiani hanno un certo gusto per l'esotico che spesso confonde le idee e non fa apprezzare il cinema nostrano come si dovrebbe». Le piace il suo lavoro? «Moltissimo. Nel teatro quando recito mi lascio andare al 100%. Il cinema è un lavoro più tecnico». E la televisione? «La detesto alquanto. Trovo sia peggiorata nel corso degli anni e purtroppo si dà molta importanza agli ascolti e non alla qualità».

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