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di GIANO ACCAME ANTONIO Pennacchi è un bel commediante.

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Al ristorante mangia col berretto in testa, perché «fa operaio». Ma è invece un'altra cosa: un ottimo scrittore, finalmente arrivato. Il più brillante in una famiglia dove anche i fratelli sono ben riusciti: Gianni è tra le firme del «Giornale», mentre la sorella Laura, deputato diessino, è stata Sottosegretario al Tesoro in un paio di governi di sinistra. Lui ha appena pubblicato da Mondadori un romanzo molto divertente, «Il fasciocomunista», dove racconta le esperienze di giovane missino passato durante la contestazione sessantottina coi maoisti. Poi ha vagato tra Psi, Uil, Pci, Cgil e attendiamo racconti anche sui pellegrinaggi politici a sinistra nella prosa colloquiale, spiritosa, che fa pensare a Céline: sembra naturale, lingua del popolo, ma, come appunto per lo stile parlato di Céline, è nutrita di cultura e potrebbe essere il risultato d'un metodico lavoro. Per i tanti che hanno militato a destra la prima parte del libro è una ghiottoneria, perché vi si vede sfilare accanto a Michelini e Almirante il sempre intrepido Giulio Caradonna, Raffaele Delfino, Gigino Turchi e, tra personaggi noti dell'attivismo politico romano, Stefano Delle Chiaie, Arturo Bellissimo, Mario Gionfrida (il Gatto), l'Accademia pugilistica di Angelino Rossi al Prenestino, i Volontari del Bava, quelli della sezione arroccata tra i ruderi dell'antica Roma al Colle Oppio e anche Franco Papitto, Nuova Repubblica, i fratelli Di Luia. Vite violente di ragazzi spesso picchiati ancor prima che picchiatori, anche se l'esibizione del coraggio era tra i principali moventi della loro scelta politica; e, per chi c'è stato in mezzo, vite più vere nei racconti di Pennacchi di come le ha ricostruite dal di fuori Pasolini. La cronaca di Pennacchi ha un solo difetto: troppi morti, tutti teatralmente caduti intorno a lui, e poca galera. Nella realtà storica il rapporto è rovesciato: durante gli anni di piombo scapparono all'estero o finirono in prigione circa cinquemila ragazzi (un migliaio di destra e gli altri di sinistra), mentre i morti negli scontri di piazza furono per fortuna meno di quanto costano le rivoluzioni vere. Ma di Pennacchi è soprattutto interessante, pur nella conversione a sinistra, la fedeltà che conserva nei confronti del fascismo inteso quale forma italiana del socialismo reale o di dittatura del proletariato. Secondo Pennacchi, oggi pacifista, antirazzista e amico d'Israele, a tradire l'ispirazione proletaria di Mussolini fu la destra missina e ancor più quella di An: tesi radicata nell'indimenticabile realtà delle bonifiche, dei fanti contadini venuti dal Veneto, che crepavano di fatica agli ordini dell'Opera nazionale combattenti proclamando «questa è la guerra che noi preferiamo» nel far sorgere dalle paludi le nuove città "di fondazione".

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