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di GIAN LUIGI RONDI CECILIA, di Antonio Morabito, con Pamela Villoresi, Gianni Grima, ...

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Ce lo propone un esordiente Antonio Morabito che, dopo aver realizzato alcuni cortometraggi, ricorre a uno di questi, «Cecilia», per dare il via al suo lungometraggio di oggi. In «Cecilia» ci diceva di una ragazza che, stanca delle liti in famiglia, scappava di casa, qui ne ripete la vicenda ma, pur conservando lo stesso titolo, anziché seguirla nella sua fuga, si occupa di quelli che si è lasciata alle spalle, una madre ansiosa, un padre autoritario, un fratello e una sorella indifferenti a tutto. Si affollano presto attorno a loro parenti e amici, venuti in fretta per testimoniare solidarietà e dar man forte. Alla loro presenza, che riempie la casa in ogni stanza, il clima cambia perché il padre, convinto di dover mettere ordine alle attese di possibili notizie della fuggitiva, impartisce a tutti ordini militareschi cui nessuno può sottrarsi. Fino a instaurare, con la sola opposizione della moglie, una sorta di dittatura che non tarda a gestire in modo ferreo, sempre più indifferente, in cuor suo, alle sorti della figlia, sempre più compiaciuto, invece, del singolare potere che lì si è conquistato. L'opposizione della moglie indurrà però molti a ribellarsi e si arriverà a una guerra tra le due fazioni: con il risultato che, alla fine, la casa prenderà fuoco... Un apologo, appunto. Sull'autorità, sul modo distorto di esercitarla e, dunque, sulla dittatura che presto o tardi, con la guerra, farà bruciare la «casa». Ora, però, con modi troppo facili, ora finendo nell'inespresso, mentre i vari personaggi attorno rischiano il bozzettismo, senza neanche l'alibi surreale della caricatura. In mezzo si riscatta solo Pamela Villoresi nella parte della madre che dice no. Gli altri sono quasi tutti non professionisti. E si vede.

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