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di GIAN LUIGI RONDI PERDUTO AMOR, di Franco Battiato, con Corrado Fortuna, Italia, 2003.

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Senza dimenticare la musica, chiedendole anzi di dare voce e colore alla sua storia. Una storia che, in sintesi, sembrerebbe quella di un giovane siciliano venuto a Milano negli anni Sessanta per studiare musica e poi diventato invece scrittore. Citazione solo a metà di un itinerario quasi simile seguito a suo tempo dallo stesso Battiato. In realtà, se la nota dominante sembra cadere su questa vicenda, la «partitura» che si inventa il neo-regista con abile candore finisce per proporsi attraverso continue «composizioni» in cui i personaggi, tantissimi, vicini o lontani a quello del protagonista, mutano via via di luoghi e di climi. Per darci, all'inizio, un ritratto della vita anni Cinquanta in un paesino della Sicilia e, dieci anni dopo, della vita musicale di Milano. Con contorno, però, anche di azioni diverse, attraversate da atmosfere volutamente estranee all'intreccio centrale. Ecco, così, in Sicilia, un colorito aneddoto su una scuola di cucito, seguito dal dramma familiare di un marito che tradisce la moglie, mentre, nel quadro, si fa avanti la figura di un anziano patrizio che dà lezioni di musica e di filosofia al protagonista, mescolato presto, una volta a Milano, in casi paralleli che lo condurranno a quella scelta della letteratura cui finirà per indirizzarsi. E la musica? Non solo è, appunto, nella partitura che scandisce quei momenti in apparenza poco collegati fra loro, ma in una colonna sonora che, per sottolinearli, oltre a citare la canzone del titolo, cantata da Battiato, alterna alle canzoncine italiane del Sessanta (che fanno data) Bach a Vivaldi, Mozart a Schumann. Coinvolti in una sola armonia. Il protagonista, bravissimo, è Corrado Fortuna rivelato all'ultima mostra veneziana da «My Name is Tanino» di Virzì.

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