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Grigia Londra proletaria

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ANCORA, per Mike Leigh, il quotidiano del proletariato londinese. Come in «Segreti e bugie». La periferia, i lunghi casamenti grigi tutti uguali, le vite, al centro, anche più grigie. Alcuni gruppi familiari, uno, specialmente, con un padre che fa il tassista, la madre la cassiera in un supermercato, una figlia le pulizie in una casa di riposo, un figlio senza lavoro. Sono inaciditi, irritabili, pronti ad aggredirsi almeno verbalmente, disamorati di tutto, specie il padre che, grasso e trasandato, sente che la donna con cui convive da anni, senza però averla mai sposata, ha per lui un sentimento solo, il disprezzo, forse condiviso da quei due figli sgraziati e obesi che lo vedono scarsamente legato al lavoro. Attorno altri come loro, con problemi analoghi, pronti, spesso, a intrecciare reciprocamente i propri casi. Il tema ultimo è il bisogno d'amore del padre, appagato in un finale che lo vedrà riavvicinarsi alla sua donna, mentre, se non tutte, altre vicende approderanno a soluzioni quasi positive ma non consolatorie. Il quotidiano, appunto, e il grigio. Leigh li affronta con un realismo di riflesso, preoccupato soprattutto del disegno dei singoli caratteri, proposti con una asprezza che dà evidenza specie agli aspetti negativi, fisici e morali. Con il gusto, al momento di tirare le somme, di un certo tipo di melodramma messo in risalto sia dalla struttura narrativa, di impianto scopertamente teatrale, sia da un commento con musiche nel fondo sempre struggenti. Non è però un difetto, anche se il film non ha il rigore di «Segreti e bugie», è un approccio al reale che all'oggettività preferisce la sua reinterpretazione partecipe. Gli interpreti, quasi tutti, ci arrivano dal cinema di Leigh. Il migliore, Timothy Spall, un protagonista desolato.

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