di MARIO BERNARDI GUARDI «DAVANTI a lui tremava tutta Roma»: si potrebbero usare, per Alberto ...
Così come è innegabile che se Moravia non è stato «giustiziato» da vivo, lo è stato da morto. Non è forse un dimenticato? Tra i frequentatori di terrazze che facevano carte false per ottenere dal Venerato Maestro uno sguardo di benevola attenzione, quanti ce ne sono impegnati a curar la sua memoria? E ce n'è uno che sarebbe disposto, oggi, a definirlo «il più notevole narratore che l'Italia abbia avuto dal Boccaccio in poi»? Questo giudizio, che ha addirittura il sapore della celebrazione, è stato formulato da un uomo quanto mai lontano dalle terrazze, dai "tic" e dai "tabù" degli intellettuali progressisti, dagli scrittorelli in cerca di raccomandazione, da tutta la variopinta fauna dei postulanti scodinzolanti. L'uomo è Giuseppe Prezzolini, uno dei protagonisti delle più vivaci battaglie culturali del Novecento, un italiano scomodo, uno spirito libero. E siccome era libero scriveva quel che gli pareva giusto. Dal Moravia "personaggio" era lontano anni luce e lontano volle restare, ma alla grandezza del romanziere consacrò quel bel riconoscimento nella «Storia tascabile della letteratura italiana» (riproposta recentemente da Sellerio,a cura di B. Benvenuto). Dunque, non «ammazziamo» Moravia, dimenticandolo. Rileggiamolo, anzi, a partire dalla sua "opera prima": «Gli indifferenti». Alberto non ha ancora diciotto anni, quando comincia a scrivere la cupa storia di Carla, Michele, Leo, Mariagrazia, Lisa. Di famiglia borghese, agiata e colta, è stato colpito nove anni prima da tubercolosi ossea, ha trascorso un lungo periodo a letto, per due anni è rimasto nel sanatorio Codvilla di Cortina d'Ampezzo, finché, dimesso, nell'ottobre del '25, a Bressanone, ha iniziato a scrivere. Ha in mente una tragedia familiare in forma di romanzo. Ci lavora per tre anni. Stremato dalla malattia, scrive a letto, appena sveglio, con il calamaio tra le lenzuola, per non più di mezz'ora. Perché si stanca e deve rinviare alla mattina successiva. Intanto, ha iniziato a collaborare alla rivista «Novecento», diretta da Massimo Bontempelli. Tutti i redattori si sono impegnati a scrivere un romanzo, il solo a portarlo a termine è Moravia. Molte le traversie per pubblicarlo. Nessun editore vuol rischiare per uno sconosciuto. Così Alberto deve stampare a proprie spese, facendosi dare in prestito dal padre cinquemila lire. Il romanzo esce nel '29 per la Alpes ed è un successo. La prima edizione di 1300 copie viene esaurita in poche settimane. Ne seguono altre quattro tra il '29 e il '33. Il libro viene poi ripreso dalla casa editrice Corbaccio che ne pubblica cinquemila copie. E la critica? Borgese, Pancrazi e Solmi si esprimono favorevolmente; e così anche Margherita Sarfatti sul mussoliniano «Il Popolo d'Italia». Con qualche riserva di ordine morale. Ma si può considerare immorale descrivere senza accenti di denuncia, il disfacimento di una famiglia della buona borghesia nella Roma degli anni Venti? L'inerzia dello spirito o il brutale materialismo sono il contrassegno degli «Indifferenti»: e Moravia racconta un ambiente travolto dal malessere e dal mal vivere. È immorale perché non nasconde e non fa prediche? Vecchio interrogativo: e mai risolto.