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LA pupetta era venuta al concerto di buon grado, a far felice la mammina educante.

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La quale si sedette compita sulla poltrona di velluto rosso che le andava grande il doppio, accosto alla genitrice provvida ed orgogliosa. Prima che il primo violino cavasse la prima biscroma, la pupetta si stirò ben bene la gonnellina sulle gambucce: e tacque alla musica. E attese. E tollerò al lento, eguale trascorrere dei minuti - delle decine di minuti - nel susseguirsi d'una sfilza, d'una baraonda, d'un subisso intollerabile di note invasive. La pupetta, accosto alla mammina in estasi, prese a muovere i piedini, poi le manine, eppoi gli occhî, ed in fine la faccina. Un lamento soave, un'invocazione alla genitrice, un toccolino al braccio, un saltello sulla poltrona, uno sbadiglio, una dolorosa lagna... La musica non era ancora adempiuta che il volto cavo della santa creatura era tutt'inondato di tacite lagrime. All'uscita le forze dell'ordine attendevano mammà. Contempli la legge: chi impone l'arte ai figli sia punito col loro odio. (E. Cav.)

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