di GIAN LUIGI RONDI GOOD BYE, LENIN!, di Wolfgang Becker, con Daniel Brühl, Katrin Sass, ...
Siamo a Berlino Est, una madre, dopo un infarto, entra in coma. Quando si risveglia, è caduto il Muro e il figlio, sapendola una fiera comunista, per evitarle traumi, le nasconde la verità, ricostruendole in casa e fuori l'ex Repubblica Democratica, arrivando fino a registrarle dei falsi telegiornali in cui si perpetuano i linguaggi e i fatti del passato regime. Con una trovata quando, a un certo momento, la madre essendosi accorta di aver attorno cittadini dell'Ovest, lui non esita a definirli «profughi della Germania Federale», attirati lì dal richiamo della società comunista... Questa parte ha spunti indubbiamente divertenti perché il regista Wolfgang Becker, sulla scorta di una sceneggiatura di Bernd Lichtenberg, mette alla berlina, sia pure spesso in modo blando, tutti i rituali degli anni bui della Germania Est, con il culto dello Stato, i raduni di massa, gli indottrinamenti collettivi e, tra le pareti domestiche, i generi di prima necessità fabbricati in serie e sempre in tono minore, dagli abiti alla cibarie in scatola. Mentre, nello stesso tempo, al figlio tanto giustamente preoccupato per la salute della madre, fa compiere autentiche acrobazie perché il suo inganno non sia scoperto. In seguito, il ritorno di un marito che, perseguitato all'Est si era rifugiato all'Ovest, una ricaduta della malattia della madre e talune, un po' forzate rivelazioni sentimentali di contorno, danno rilievo a emozioni troppo insistite. In contraddizione con tutto quanto le aveva precedute. Vi fanno fronte, però, con impegno, quasi tutti gli interpreti, poco noti qui da noi. Ricordo soprattutto il protagonista, Daniel Brühl, che si atteggia anche a voce narrante.