di FAUSTO GIANFRANCESCHI NEI dibattiti parlamentari, nei comizi, nelle manifestazioni di ...
Sta diventando una moda, una mania che dilaga togliendo respiro al ragionamento. Perché? Volendo tratteggiare una storia della vergogna, bisogna rammentare che essa è il primo sentimento provato dalla coppia umana, quando Adamo ed Eva, dopo aver mangiato il frutto proibito, si accorsero di essere nudi, e Dio capì dalla loro vergogna che avevano trasgredito il suo ordine. Da allora, con la colpa originaria nel cuore, gli uomini e le donne hanno percepito quel sentimento, singolarmente e collettivamente, come un discrimine, come una guida nella condotta della vita sia privata sia comune. Da questa sacra, austera tradizione, oggi siamo alla banalizzazione che rende tutto indifferenziato, che svia la coscienza dalla giusta considerazione della colpa. La facilità con cui si accusano gli altri di comportarsi in maniera vergognosa è la controparte di una dittatura delle idee sbagliate che ci impone di vergognarci di tutto, qualsiasi cosa diciamo o facciamo. Non esiste un testo canonico di questo rivolgimento del pensiero, che però è sottinteso e trapela in parecchie forme di pressione psicologica e culturale. Facendo attenzione a quello che si manifesta nell'opinione dominante, ho compilato un primo, rapsodico catalogo dell'odierna vergogna universale che cerca di invadere la nostra mente e di soffocarla. Già dovremmo vergognarci di essere nati, perché con la nostra pura presenza aggraviamo la crisi mondiale per l'eccesso di popolazione, e concorriamo a rovinare, inquinare la natura. Inoltre, come umani, abbiamo la colpa vergognosa di fare guerre da tempo immemorabile, come se gli animali e i vegetali (magari invisibilmente ma realmente) non fossero ugualmente combattivi tra loro. Ma ci sono anche specializzazioni nella vergogna: i torti maggiori li abbiamo noi in quanto occidentali, bianchi, cristiani. Portiamo sulle spalle anzitutto l'indegna responsabilità storica di aver cercato di evangelizzare il mondo, impedendo tra l'altro ai poveri mesoamericani di continuare a immolare agli dèi vittime umane. Certo, questa colpa risale ai nostri padri, ma in conseguenza molti nostri atti odierni, derivanti dal benessere occidentale, sono colpevoli: se beviamo e ci laviamo troppo assetiamo il resto del globo; se usiamo legno e carta impoveriamo la foresta amazzonica; se andiamo in macchina sfruttiamo i paesi produttori di petrolio. In breve, il nostro sistema di vita si basa sulla miseria del resto del mondo, un delitto che non pagheremo mai abbastanza. E non tentiamo nemmeno di cominciare a redimerci: continuiamo a non amare abbastanza il diverso, lo straniero; non corriamo ad adottare tutti i bambini denutriti del mondo; non mettiamo ancora a disposizione abbastanza sangue e abbastanza organi di ricambio. Ostentiamo così l'ignominia di non essere buoni e umanitari. Peraltro i buoni e gli umanitari si comportano esattamente come noi, godono del nostro stesso benessere, e in più, gli ipocriti, coltivano il lusso di metterci sotto accusa e di sentirsi superiori. Secondo loro, dovremmo arrossire perennemente, perché i misfatti più atroci sono soltanto di noi bianchi, cristiani, occidentali, mentre gli altri non sono mai responsabili della loro povertà, della loro arretratezza, delle loro superstizioni, non di rado della loro ferocia. Questa cultura del senso di colpa cosmico ha un risvolto paradossale. Essa dismette la vergogna sul versante arcaico del pudore: oggi è obbligatorio essere svergognati e spudorati. Adamo ed Eva si vergognarono di essere nudi; guai, oggi a chi non si denuda.