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di MASSIMO CAPRARA NEL DECENNIO horribilis 1970-80 il movimento extraparlamentare di sinistra, ...

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Fu il riconoscimento sanguinario della sua crescita dilatatasi dalla nascita nell'ottobre del '70, della attualità dei suoi contenuti non tanto e non solo politico culturali, ma di Antagonista globale e principale. Comunione e Liberazione parlava di una Speranza che riguardava la vita terrena, non solo l'aldilà; era, di fatto, un'alternativa umanizzante alla via rivoluzionaria alla liberazione. «Non espressione pubblica, culturale, politica, sociale del movimento, ma conversione del movimento», disse nel settembre del '75 don Giussani, fondatore nel 1954 di Gioventù Studentesca, che aveva insegnato religione nel prestigioso liceo milanese Berchet. La cultura vitale come l'esistere era, è, un critico e sistematico gusto del vivere, «non poteva nascere che dalla gioia e non poteva sussistere se mancava la passione a comunicare agli altri». Nel suo secondo volume della storia di Comunione e Liberazione («La ripresa, 1969-1976», pubblicata in questi giorni dalle Edizioni San Paolo), Massimo Camisasca presenta, sulla base di una capillare documentazione le tappe articolate, motivate, attraverso le quali è passato il successo del movimento, delle sue grandi battaglie culturali e sociali: che «diedero alla società italiana e alla Chiesa la percezione di una realtà da temere e da ammirare, destinata ad assumere negli anni '80 dimensioni e incisività ancora più vasta, afferma l'autore. Emerge un coro a più voci, non dissonante, un contributo su più tastiere e con diverse personalità, una sinfonia spirituale di vari timbri e tempi, una gigantesca costruzione collettiva, una unica cattedrale con un disegno egemone. «A che cosa siamo stati chiamati?», si chiede don Giussani. «A diventare una sola cosa, con Cristo e tra di noi, perché attraverso questo il mondo diventi più umano». E aggiunse: «L'unica rivoluzione della storia è il Cristianesimo. Che non è semplicemente un nuovo modo di pensare e di vivere, ma una trasformazione radicale della persona e della vita». Nitido è il punto di partenza. È una sfida al conformismo, compreso quello di sinistra, che il movimento lancia. Al posto della critica marxista dell'uomo borghese, don Giussani aveva detto nel marzo 1969: «Per noi cristiani, borghese non è che l'uomo non convertito. Non importa che sia di destra o di sinistra. In realtà si può conservare lo spirito borghese anche portando avanti la più generosa azione rivoluzionaria». Nella sua chiara introduzione il cardinale Biffi ha ricordato che «Comunione e Liberazione» è un'intelligente traduzione dell'aforisma di Ambrogio, vescovo di Milano per acclamazione: «Ubi fides ibi libertas». Proprio allora un gruppo della nomenklatura comunista rompeva in Italia con il partito, e si chiamò Manifesto. Sentimmo quel linguaggio nuovo, quello straordinario impegno nella scuola e nell'educazione. Ascoltavamo il giudizio non negativo a priori sul Sessantotto. Avevamo lo stesso disagio «per le unilateralità ideologiche e l'inquietudine per i metodi usati dalla ribellione antiautoritarista», come la definì don Giussani. Ancora ci affascinava quel guardare al Terzo Mondo che si rinnovava nell'impegno personale in Brasile, Bolivia, Congo, Uganda e sul Samizdat russo e che cresceva nel catalogo di una casa editrice cristianamente ispirata, la «Jaca Book». Camisasca, protagonista appassionato, racconta anche al cuore questa esperienza vivificante di anni difficili tutt'altro che sterili, tant'è che alimentano e danno succo all'oggi.

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