La musica live non piace a mamma Tv
Unica eccezione il concertone del Primo Maggio per il quale Viale Mazzini sborserà oltre 500 mila euro
Il primo ad arrivare sarà Paul Mc Cartney poi Bruce Springsteen e subito dopo sarà la volta dei King Crimson, Deep Purple, Peter Gabriel fino ad arrivare ai Rolling Stones. Pezzi da novanta, autentiche leggende della storia del rock, i cui biglietti per i concerti italiani sono esauriti in prevendita, anzi, nelle prime ore di prevendita, ma che non appariranno in televisione. Un dato abbastanza contrastante, soprattutto se messo in riferimento con l'effettiva richiesta del pubblico giovane, che di fatto non mette in agitazione più di tanto i responsabili dei palinsesti Rai e Mediaset. Perché cantanti e musicisti di questo calibro non vengono utilizzati in Tv? Perché non c'è la volontà di allestire show sfruttando la presenza in Italia di queste rockstar? Non solo. Molti di questi personaggi non vengono invitati nemmeno come ospiti. Non è semplice rispondere, visto che ciò che frena l'ingaggio ha a che vedere con le enormi spese extra-cachet, soprattutto per gli artisti provenienti dagli Stati Uniti, gravati da un cambio non certo favorevole alla lira. Ma gran parte di questi artisti arrivano in Italia già ingaggiati da festival, rassegne e impresari ed è su di loro che gravano le spese maggiori. Il discorso non riguarda solo il rock ma anche il jazz, la soul music e altri generi solitamente ignorati. Il prossimo luglio Umbria Jazz farà le cose in grande in occasione dell'edizione del trentennale, sono già attesi Keith Jarrett, Joao Gilberto, Sonny Rollins, Ornette Coleman, nomi storici che quasi certamente verranno ignorati dalla Tv. I motivi di questo rifiuto sono sostanzialmente due. In primo luogo il compenso aggiuntivo preteso da questi artisti per le loro eventuali apparizioni, dimenticando che sovente si accordano richieste ben più gravose per artisti italiani molto meno significativi. L'altro motivo riguarda il presunto disinteresse per la musica da parte del grande pubblico dell'Auditel. Dati alla mano, con un occhio al minuto per minuto, è stato dimostrato che la musica di qualità non paga. Per la verità il primo a dimostrarlo fu Gianni Boncompagni ai tempi di «Non è la Rai». Boncompagni, che per motivi editoriali ma anche di budget non poteva avere ospiti, dimostrò che l'esibizione in playback di una qualsiasi ragazzina del suo cast otteneva un dato più alto di una star. Dimostrazioni polemiche, qualche volta reali, ma comunque fuorvianti, addirittura in grado di creare qualche problema nella personalità delle ragazzine. C'è l'impressione che in questo momento prevalga il disinteresse e il cinismo e la totale trascuratezza nei confronti di quei generi che da anni non appaiono più in Tv, e per la verità nemmeno in radio, esempio jazz, folk, musica popolare, a tutto danno di un pubblico di profilo alto a cui sono stati sottratti codici di riferimento. Per ora i responsabili televisivi non intendono tornare sui loro passi. Alla faccia della fine del varietà. C'era un tempo in cui gli autori dello show del sabato sera (Falqui, Sacerdote, Amurri, Jurgens, Torti, Terzoli, Marchesi, ecc.), prima di accettare, facevano una puntatina negli Stati Uniti, magari anche in Francia, per ingaggiare star, in un momento in cui i tour degli artisti stranieri erano scarsi. Oggi li abbiamo in casa e non li chiamiamo. Sarà anche vero che il varietà è in crisi, certo è che autori e produttori hanno contribuito non poco ad aggravare la crisi. Risultato: cast mediocri, conduttori inadeguati che fanno tutto da soli, povertà di idee, provincialismo.