di GIAN LUIGI RONDI L'AVEVO conosciuta in casa di un collega carissimo de «Il Tempo», Vero ...
Una conversazione senza molti riferimenti con il cinema (salvo una citazione senza rimpianti del primo marito Mel Ferrer) e fitta invece di ricordi d'infanzia quando, figlia di un banchiere anglo-irlandese, si chiamava ancora Edda Van Heemstra Hepburn-Ruston e viveva in Belgio dov'era nata, negli anni di guerra così provata dall'occupazione tedesca da essersi dovuta nascondere con i suoi, ridotta quasi alla fame. «Per questo son sempre stata così magra», aveva commentato. Una magrezza fine ed elegante, però, la cui grazia, arrivati finalmente anni più tranquilli, conquistò a tal segno Colette, che l'aveva incontrata a Montecarlo da indicarla a un impresario americano perché le facesse interpretare a Broadway la parte della protagonista nella sua «Gigi». Cominciò tutto da lì. Prima, al cinema, si era limitata a recitare in parti di fianco, senza molto rilievo, ma a Hollywood William Wyler intuì subito le doti vere di quella figurina flessuosa, tutta dolci sfumature senza però nessuna smanceria, e la volle protagonista, a fianco di Gregory Peck, in «Vacanze romane», proprio cinquant'anni fa. Un successo pieno, gli applausi del pubblico, le lodi della critica, perfino una candidatura all'Oscar. E la creazione di un tipo, quello di una adolescente dallo sguardo sbarazzino, attraversato però anche da gentilezza e da candore. Lo si sarebbe ritrovato l'anno dopo in «Sabrina», con la regia di Billy Wilder e a fianco di Humphrey Bogart, pronto a dispiegare note anche più vivaci e brillanti, una decina d'anni dopo, nello spumeggiante, celebratissimo «My Fair Lady», di George Cukor, che seguiva di poco il piacevole «Colazione da Tiffany» di Blake Edwards e lo squisito «Sciarada» in cui Stanley Donen le aveva voluto al fianco Cary Grant. Arrivò poi «Guerra e pace», diretto da King Vidor, insieme, nella parte del principe Andrej, con il suo primo marito Mel Ferrer. L'ultimo film in cui restò fedele al tipo creato da «Vacanze romane» in poi. Molta più severità, anche con dolore, nei film che seguirono, riflesso di certe vicissitudini sentimentali di quel periodo: «Due per la strada», sempre di Stanley Donen, e il drammatico (e finissimo) «Storia di una monaca» che Fred Zinnemann aveva tratto dal bel romanzo di Kathryn Hulmes. Ancora qualche film di qualità, soprattutto «Robin e Marian» in cui Richard Lester le dette come partner Sean Connery in veste di Robin Hood, poi, da quell'anno, era il 1976, l'addio al cinema, un terzo matrimonio (con l'olandese Robert Wolders), una nuova vita dedicata ad attività benefiche tramite l'Unicef. La malattia la sorprese in Somalia, proprio durante una di quelle sue missioni, e tornata in Svizzera, dove ormai si era stabilita, riuscì a sopravvivere non più di un anno, fino al '93. Dieci anni fa e appunto, quarant'anni dopo «Vacanze romane», il suo primo successo.