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L'amico scomodo di Padre Pio La vita disordinata, l'incontro col santo, la scomparsa del suo archivio

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Aiuta a svelare, una volta di più, la girandola degli strumenti di Dio mandati in giro come schegge perché il progetto del Padreterno si realizzi. Francobaldo Chiocci, già inviato e commentatore de Il Tempo, narra la vita di Emanuele Brunatto, affarista sfigato, imprudente e impudente da tutti emarginato tranne che da Il Tempo e dal suo fondatore, Renato Angiolillo. Il nostro, negli anni Sessanta, fu l'unico giornale a credere alla santità di Padre Pio in tempi non sospetti e a pubblicare i documenti in difesa del frate raccolti da Brunatto mentre la Chiesa faceva la guerra al futuro santo e le gerarchie ne avevano tanta paura da additarlo come un nemico, il numero uno, di Dio sulla terra. Chiocci ha portato la storia di Brunatto sempre nel cuore, perché quell'uomo che non riusciva a trovare pace e che si lasciava prendere sempre da progetti impossibili puntualmente trasformati in fallimenti, rappresenta l'anima ribelle tanto cara allo scrittore, appassionato di Padre Pio, fine narratore, con un'idea fissa in testa: dove c'è un uomo troppo odiato si nasconde una verità che fa paura. E che per questo va cercata. Brunatto sapeva che qualcuno lo voleva morto tanto che, disperato, chiese aiuto a un amico un giorno prima di andarsene affinché nascondesse il suo archivio. Trascorsero 24 ore fra la richiesta e la risposta affermativa. Troppe. Documenti e bobine svanirono nel nulla. Nel libro, Chiocci tenta continuamente di mantenere le distanze da Brunatto che nella vita aveva fatto mille mestieri senza mai riuscire a trovare una dimensione stabile e costruttiva. Ma in ogni pagina emerge la partecipazione complice, nata dalla frequentazione con i documenti e le lettere di Padre Pio, le stesse che avevano fatto tremare il Vaticano. All'annuncio della pubblicazione dei testi in difesa del frate su Il Tempo, l'Osservatore Romano replicò in prima pagina auspicando che venisse bloccata. Angiolillo, com'era suo costume, andò all'attacco. Telefonò a monsignor Dell'Acqua e gli fece credere di aver messo da parte materiale molto scottante e che se qualcun altro gli avesse chiesto di cambiare idea, lo avrebbe pubblicato integralmente. Da dieci puntate a tutta pagina, incorniciate per essere conservate, Chiocci arrivò a scriverne 45, mai dimenticando quanto gli aveva detto il direttore editore e fondatore de Il Tempo: «Pubblico questa roba perché tengo alla Chiesa e voglio difendere e riabilitare un suo santo perseguitato». Fu un successo straordinario, pari soltanto alla pubblicazione del diario di Galeazzo Ciano. Per Angiolillo un altro successo. Per i lettori e per la Chiesa un'occasione di riflessione. La stessa che oggi Chiocci ci ripropone in edizione tascabile. Una specie di sorvolo su una vita fastidiosa, quella di Brunatto, capace di farsi nemici gli amici e che alternò per tutto il tempo conversioni, pentimenti, peccati e sporchi affari. La sua reputazione non lo aiutava. Amava la bella vita e le donne. Spendeva quello che non aveva e sprofondava dagli alberghi di lusso ai dormitori della stazione. Eppure riusciva a trovare sempre qualcuno che mettesse mano al portafogli per lui. Per vedere Padre Pio si fece quaranta chilometri a piedi perché era sceso dal treno prima del tempo. Il frate stava confessando e lui vide un uomo arrabbiato con la barba minacciosa. Rimase deluso. Qualche minuto dopo, come in una trasfigurazione, il santo cambiò volto agli occhi dell'affarista che cominciò a ricordare i suoi peccati e pensò che quella confessione non sarebbe finita mai tanti ne aveva da raccontare. Era il 1918. Brunatto vide l'ultima volta Padre Pio nel 1925. Peccando e pentendosi continuò a occuparsi di Padre Pio con un fervore che il frate di Pietrelcina più volte dovette frenare. Ma le due vite restarono incrociate. Come se quel peccatore, grazie alla sua sfr

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