di CARLO SGORLON PADRE Marco d'Aviano, il taumaturgo che nel 1683 compì anche il miracolo ...
A Roma sfileranno vessilli della Mitteleuropa, oltre a quelli del Friuli e delle sue province, e si vedranno i famosi danzerini di Aviano, il gruppo folkloristico più antico del mondo, con centinaia di pellegrini organizzati dal Comitato creato a Pordenone nel 1999, in occasione del centenario della morte di Marco. Lo guida la straordinaria figura di padre Venanzio Renier, cappuccino anche lui, che alla causa di Marco si è votato con dedizione instancabile per 25 anni. Ora ne ha più di novanta. Torna così di attualità l'epica resistenza antiturca dell'Europa, che dopo l'Austria liberò pure l'Ungheria e la Serbia. Spesso però nel rievocarla si trascura l'apporto di molti italiani, anche di Roma e del Friuli, e un cospicuo retaggio di memorie e monumenti. A Roma ha sede una Confraternita, presieduta oggi da Luigi Righi Schwammer, che dal 1683 conserva i due trofei che le affidò il suo primo iscritto, l'imperatore Leolpoldo I, un'insegna turca a coda di cavallo del gran Visir Kara Mustafà, e il bellissimo tappeto persiano di ventisei metri quadrati che splendeva nel suo padiglione. Sarebbe un'ottima occasione per esibirlo ai visitatori europei. Il Comitato friulano ha offerto a Roma un'ampia documentazione sul Beato, con la consulenza dello storico pordenonese Giulio Cesare Testa, per iniziative di divulgazione e di aggiornamento. Ad un recente Convegno austriaco su Marco si è visto che questo Beato, come già ai suoi tempi, suscita un interesse che ora si estende anche agli aspetti più minuti della sua storia. Pordenone è riuscita a procurarsi l'unica medaglia coniata per lui, nell'unico esemplare conosciuto, proveniente dalla Spagna, al fine di farne la replica celebrativa nell'anno della Beatificazione. A Roma come in Friuli si vorrebbe rivalutare il contributo degli italiani alla battaglia di Vienna, e in particolare di sudditi pontifici e veneti, attingendo alla vasta corrispondenza dello stesso Marco, a fonti di stampa o d'archivio, e allo stesso Istituto Storico dei Cappuccini. Erano romani, ad esempio, Camillo Ferretti, cavaliere di Malta, che combattè nell'intera campagna dei Balcani; Paolo Antonio Mellini, fratello di un cardinale e capitano di «Corazze» papali in Ungheria; il marchese Ascanio Olgiati di Poggiocatino, reduce della Morea. Il Friuli può ricordare Antonio Varmo di Pers, che a Vienna fu compensato con uno stendardo nemico; Bernardino Venier, fatto nobile ungherese; Matteo di Collalto, difensore della «Porta Rossa» di Vienna i volontari Ottavio Fenicio e Odorico Frangipane; il felmaresciallo Carlo Maria de Pace; i generali Giansilvio di Porcia, Nicolò di Strassoldo, Bonifacio della Torre e suo figlio Luigi, che nel 1688 recò al Papa l'annuncio della riconquista di Belgrado. «Venimus, vidimus, Deus vicit», scrisse il Sobieski, re di Polonia e comandante supremo degli eserciti cristiani, al Papa, dopo la vittoria elogiando il valore di tutti, ma soprattutto il sacrificio dei caduti. E la storia, che è anche memoria nobile dell'umanità, è ancora impegnata nella ricerca dei loro nomi.