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DOMANI IL COMPLEANNO DEL CANTAUTORE

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Eppure si tratta di una ricorrenza importante: 80 anni tondi tondi. Sono in pochi a possedere il suo numero privato ma quasi certamente il telefono della casa di Ceri, piccolo centro collinare sull'Aurelia a quaranta chilometri da Roma (specialità: pane, prosciutto e acqua termale) squillerà. I colleghi Gianni Ferrio, Armando Trovajoli e forse anche Mina avranno un pensiero per il maestro. 80 anni, un bel traguardo, anche se da più di trenta Lelio Luttazzi ha preferito l'oblio, la discrezione, la riservatezza. Negli Stati Uniti gli scrittori e gli artisti che compiono scelte così nette qualche volta diventano miti, leggende. Luttazzi è diventato semplicemente un pensionato. Ma non è difficile dargli torto. La vicenda è nota. Nel 1970, al culmine della sua carriera, dopo aver diretto orchestre formidabili, partecipato a Sanremo, scritto indimenticabili canzoni e condotto in Tv «Studio Uno», Luttazzi incappa in un errore giudiziario che pregiudicherà la sua carriera e, cosa ancor più importante, la sua vita privata. La sera prima aveva fatto tardi. Nel suo attico a Fontana di Trevi c'era stata una festa e quando si svegliò la domestica disse che aveva telefonato Walter Chiari dall'Hotel Baglioni di Bologna pregandolo di telefonare a nome suo ad un certo Lelio Bettarelli, visto che lui non riusciva a contattarlo. Una richiesta strana, d'accordo, ma tutti nel mondo dello spettacolo conoscevano le stramberie di Chiari. Luttazzi fece quella telefonata, senza immaginare che Bettarelli fosse spacciatore di cocaina e soprattutto che il telefono fosse controllato. Il giorno dopo arrivarono nel suo appartamento due finanzieri, non trovarono nulla ma scattò l'arresto. 27 giorni a Regina Coeli. Terribili. Giorni durante i quali Luttazzi prese appunti per il suo unico libro, «Operazione Montecristo», al quale si sarebbe ispirato Alberto Sordi per il suo film «Detenuto in attesa di giudizio». Arrivò l'assoluzione con formula piena per la completa estraneità ai fatti, ma l'uomo era cambiato e l'artista non era più lo stesso. La Rai gli restituì una parte del maltolto, per esempio la storica «Hit Parade», la vetrina dei dischi più venduti che il venerdi alle 13 sul Secondo Programma radiofonico raccoglieva oltre cinque milioni di ascoltatori. A cambiare per primo fu l'approccio alla professione, che non era più lo stesso. A poco a poco Luttazzi preferì defilarsi e anche la Tv smise di corteggiarlo. Eppure la sua carriera è stata davvero straordinaria. Se ne accorse per primo, alla fine degli anni Trenta. Ernesto Bonino, che capitò per caso in una recita scolastica a Trieste. Bonino, star dello swing made in Italy, gli chiese una canzone e Luttazzi, detto fatto, scrisse «Il giovanotto matto» sul libro di diritto romano. Finì lì ma dopo la guerra il giovane Luttazzi si vide recapitare 360 mila lire di diritti d'autore. Una somma a dir poco pazzesca. Negli anni se ne accorsero altri che incisero le sue canzoni: «Una zebra a pois», «Canto», «Bum ahi che colpo di luna», «Strade», «Quando una ragazza a New Orleans», «El can de Trieste». Auguri, maestro!

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