di CARLO MAZZANTINI DURANTE l'occupazione tedesca di Roma, su un muro di Trastevere, tracciata ...
Lasciatece piagne da soli». Sono fermamente convinto che quel popolano romano con quelle parole abbia espresso nel modo più icastico il sentimento condiviso allora dalla stragrande maggioranza degli italiani. L'Italia era in quei giorni un paese sconfitto, disorientato. Aveva creduto nei miti e nella retorica del fascismo, vi aveva partecipato, il 10 giugno del '40, aveva riempito le piazze d'Italia a salutare la dichiarazione di guerra, convinto che si trattasse di una breve passeggiata al seguito del carro trionfale del vincitore. Aveva assistito, da prima sorpresa e poi sgomenta, alla tragedia della campagna di Grecia e poi a quella più sanguinosa della ritirata di Russia. Aveva visto sparire l'impero che dopo quindici secoli era riapparso «sui colli fatali di Roma» e con esso, dopo la sconfitta di El Alamein, la «terza sponda». Aveva subito bombardamenti «a tappeto» che avevano semidistrutto le nostre città, visto affondare quasi tutta la nostra flotta mercantile, distrutta la nostra aviazione, subito per tre anni fame e morti. Aveva visto sbarcare senza colpo ferire gli alleati in Sicilia e avanzare rapidamente per la penisola. Aveva visto in una sera crollare «l'uomo della Provvidenza», abbattuto dal suo stesso Gran Consiglio, d'accordo con il Re, che era stato per venti anni suo sodale o complice. Aveva ascoltato il proclama del maresciallo Badoglio che annunciava l'armistizio dell'8 settembre '43, del quale il maresciallo Montgomery, comandante dell'ottava armata britannica, scrisse nelle sue memorie: «... penso che quello di Badoglio sia stato il più grande tradimento della Storia...». Aveva visto lo stesso Badoglio, capo del Governo, insieme al re, capo dello stato, ai suoi ministri e generali, abbandonare la reggia, la capitale, il paese, l'esercito, lo stato. Aveva visto dissolversi le sue forze armate, 62 divisioni, senza ordini, disarmate in pochi giorni dai tedeschi. Il paese occupato dai medesimi e dagli Anglo-americani. Gli italiani, dopo tutto questo, erano in quei giorni un popolo sconfitto fino in fondo, senza più punti di riferimento, che «nun» voleva, né questi, né quelli, ma solo «piagne» da solo le proprie sventure e da quel pianto magari trarre forse un sofferto esame di coscienza con il quale attribuire a ciascuno la sua parte di responsabilità per quella tragedia. Non fu così. Se lo fosse stato, chissà, forse oggi saremmo migliori, più onesti con noi stessi e nei confronti del nostro passato, più consapevoli delle nostre responsabilità personali in esso, più liberi e meno litigiosi. Su quel corpo martoriato del nostro paese si innestò invece, a portare altri lutti e sofferenze, un atto aggiunto. Quella guerra civile che interessò, su una popolazione di 45 milioni di abitanti, secondo i calcoli di insigni storici, non più di tre milioni di italiani, famiglie comprese (cioè il 7% della popolazione) e che si conchiuse ufficialmente il 25 aprile del 1945. Con uno strascico sanguinoso di esecuzioni sommarie, vendette, rese dei conti, in cui furono uccisi, secondo la stima di Ferruccio Parri, Comandante del Corpo volontari della Libertà «più di 30 mila fascisti o «presunti tali». La Storia, si sa la scrivono i vincitori, anzi, secondo Nietzsche è «il sarcasmo dei vincitori». In quella storia chi cadde da una parte è un martire della libertà, chi morì dall'altra è un nazi-fascista o nel migliore dei casi uno sprovveduto al servizio del nazi-fascismo, e solo oggi, dopo libri, testimonianze, revisioni, elevato al rango generico di «ragazzo di Salò»! Ma non è andata esattamente così. Io c'ero, ricordo bene tutto, non ho posizioni preconcette da difendere. Dalla parte vincente, al di là di poche centinaia di capi consapevoli, vecchi e nuovi antifascisti, comunisti compresi, la maggioranza furono ragazzi che si sottrassero al servizio militare della RSI (a che scopo andarsi a far ammazzare per una guerra ormai perduta?), salirono in montagna, entrarono nell'ambito delle sparute bande partigiane, ne respirarono