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di ANTONIO SPINOSA PER UNA lodevole iniziativa di Ciampi quest'anno la ricorrenza del 25 ...

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Su questa data, che sancisce la definitiva caduta del fascismo, si impongono due diversi giudizi: uno di carattere storico e l'altro di natura politica. Può apparire ardua questa distinzione poiché storia e politica sono in realtà tra loro strettamente intrecciate. Ma uno sforzo di separazione va compiuto proprio quando un evento non è ancora completamente entrato nella storia e continua a vivere nelle coscienze come cronaca attuale dei nostri anni. In base a questo sforzo il passato deve passare in quanto lotta politica, affinché non riesplodano disfide praticamente superate. Al tempo stesso, proprio sul piano storico, è bene che il passato non passi mai, al fine di non perdere la memoria degli eventi di ieri. Tuttavia, se il fascismo è qualcosa di storicamente concluso, la Resistenza costituisce tuttora, si pensi ciò che si vuole, la base della nostra legittimità repubblicana. Oggi celebriamo il 25 aprile come condanna storica del fascismo e come realtà politica di molti decenni di democrazia. Che nel frattempo si siano avuti vari aspetti di Repubblica, nonostante alcune crisi morali come quelle di Tangentopoli, per esempio, nulla toglie alla solidità dei principi di libertà in cui il popolo italiano crede. Questa certezza, è bene ripeterlo, trae ispirazione dai giorni della guerra di Liberazione, suggellati dal 25 aprile del '45, anche se ognuno di noi può continuare a leggere questa data a suo modo, come del resto è avvenuto in tutti questi anni. Se oggi siamo in Repubblica, lo dobbiamo anche grazie al Secondo Risorgimento che nella Repubblica ha avuto le sue radici. Non guasterebbe un po' di storia sul 25 aprile, a uso e consumo dei Lettori più giovani, dopo tanti commenti su quel giorno fatidico di ieri e tanta paura su quelli che via via si svolgono sotto i nostri occhi. In quei lontani e decisivi attimi del '43 il cerchio si stringeva inesorabilmente intorno a Mussolini e a Hitler. Il Führer a Berlino nel bunker della Cancelleria era lo spettro di se stesso. Attribuiva agli italiani gran parte della disfatta tedesca: tutto il peggio era cominciato dalla Russia. Torcendosi, diceva: «Contrariamente ai nostri piani siamo dovuti accorrere nei Balcani per bloccare la sconfitta dell'esercito di Mussolini. Questo, appunto, ci costrinse a ritardare catastroficamente l'inizio dell'attacco all'Urss. L'America sì, ha avuto il suo peso. Ma le colpe maggiori sono di Mussolini». La repubblica di Salò si dissolveva. Mussolini non cercava ormai che la salvezza personale. Fuggiva sul lago di Como, e proprio su quelle rive, lui e Claretta, cadevano nella mani dei partigiani, dopo che l'ex duce aveva tentato di concordare comunque una resa separata sia con i capi della resistenza, sia con le armate angloamericane. Tutto gli andava male, ed era l'alba del 27 aprile quando Mussolini venne catturato dai partigiani a Musso. Il giorno successivo cadde, con Claretta, sotto il piombo del colonnello Valerio — questa è la versione ufficiale, mai smentita con prove sicure — e quindi i loro corpi inanimati e tumefatti, riconoscibili soprattutto per le targhette di identificazione, pendevano il 29 successivo, a testa in giù, appesi alla tettoia di un distributore di benzina, in piazzale Loreto. La radio proclamava: «Giustizia è fatta!», ma Parri esclamava: «Questo è un episodio di macelleria messicana!». Ero stato un giovane avanguardista - capo centuria, grado conseguito in un corso paramilitare a Brunico —, ma in quel momento non ero più da tempo un seguace del fascismo. Non ho le lacrime facili: eppure, alla notizia della brutale fine di Mussolini piansi.

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