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Biagi, Ottone e il «signor Fiat»

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«Un uomo solo rimasto al suo posto con militare senso del dovere»Più ironico e riflessivo il saggio del notista del Corriere della Sera, più autocompiacente quello dell'ex direttore del quotidiano di via Solferino

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E che dire di Piero Ottone che ha pubblicato in contemporanea una sua opera sullo stesso personaggio, «Gianni Agnelli visto da vicino»? La morte dell'Avvocato universalmente noto con questo epiteto da Corte d'Assise, non poteva non stimolare due personaggi che con lui avevano avuto confidenza. Biagi forse scherza quando fa un'affermazione assai ardita, ma è uno scherzo alla Montanelli, frutto della fantasia del giornalista per far capire meglio la situazione. E scrive: «Fecero un'inchiesta: novantanove cittadini su cento sapevano chi era il Papa, tutti conoscevano "Gianni"». Va oltre, parlando delle sembianze del suo Gianni: «Life aveva intravisto in lui addirittura la "fisionomia di Giulio Cesare"». Che cosa invece diceva tanti anni fa Fortebraccio con ironia sull'Unità?: «Gli manca sempre pochissimo per essere un genio». Forse è ancora più giusto conoscere in sintesi l'idea dello stesso Biagi: «Io lo penso come un uomo infinitamente solo, con una storia segnata da tanti drammi. Aveva un concetto del dovere da militare: è stato fino all'ultimo al posto assegnatogli». Biagi, ovviamente fra tante altre cose, parla di un giro fatto per Torino in compagnia dell'Avvocato. E non poteva mancare una loro corsa allo Stadio Comunale dove si stava allenando la Juventus. Agnelli ricordava i tempi di suo padre, di quando la squadra vinse cinque scudetti, dal 1930 al 1935. E contrastava l'opinione di chi sostiene che non si debba parlare del passato: «Ciò non è vero, è molto piacevole farlo». E Biagi, cui non sfugge l'attimo della battuta, non può dire la sua in proposito: «Mi permetto una citazione da un libro di memorie che ebbe un certo successo: quello di una maîtresse americana. "Il passato" diceva "ha sempre il culo più roseo"». Chissà se pure la figura dell'Avvocato è al settimo cielo, ora che non è più tra noi, mentre in vita, alcune critiche pur se le attirava. E chissà se mi consentirete di esprimermi con questa ruvida libertà. Biagi fa capolino anche nel libro di Ottone, a proposito di alcune conversazioni che nelle crociere sono assai utili per ammorbidire la noia del viaggio. Su uno yacht Gianni e Marella Agnelli si recavano in Turchia. Con loro c'erano anche Katherine Graham, editrice della Washington Post, e Truman Capote. Parlava Gianni, riferisce Ottone, mostrando «preferenze per questo o quel giornalista, Ronchey o Stille piuttosto che Biagi o Bocca». Tali preferenze indicavano quale tipo di giornalismo egli prediligesse, senza bisogno di dirlo apertamente: «Giornalismo di tipo anglosassone piuttosto che all'italiana». Ottone trova l'occasione di fare alcune differenze nei rapporti fra editori e giornali a proposito di libertà di stampa: in questo caso fra la Stampa e il Corriere della Sera. E in ciò anche lui si presenta fra i protagonisti. Scrive che quando Andrea Rizzoli acquistò il Corriere, con le garanzie finanziarie di Montedison, e avrebbe voluto che il Corriere avesse per Montedison un occhio di riguardo, «mi chiese se fossi disposto a usare verso Montedison lo stesso trattamento che la Stampa usava verso la Fiat; e gli sembrava in quel momento di chiedere poco. Io risposi di no: ma questo è un altro discorso». Sì, è un altro discorso, ma un uomo come Ottone non avrebbe mai perso l'occasione di farlo, sebbene il tema del suo libro sia un altro. E si può anche dire che, in tema di libertà di stampa, è assai probabile che Ottone non sia l'unico giornalista che sappia difendere "la verità". Anche se poi "la verità" passa per il filtro di ognuna delle nostre teste e delle nostre convinzioni, e ad altre teste può sembrare che talvolta non si sia obiettivi. Enzo Biagi «Il signor Fiat» Rizzoli 175 pagine, 14.50 euro Piero Ottone «Gianni Agnelli visto da vicino» Longanesi 192 pagine, 14.50 euro

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