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MEMORANDO il concerto di Zubin Mehta al Parco della Musica che risuonò, dapprima, della «Sinfonia n.

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1in re maggiore» di Gustav Mahler. Due opere di diverso valore estetico. La prima, capolavoro assoluto della civiltà sinfonica; la seconda, commendevole cimento del giovane Mahler all'origine delle creazioni orchestrali. Il pubblico applaudí con creanzato calore l'opus magnum mozartiano; con foga vertiginosa, che sconfinava nella smania coribantica, l'opera mahleriana. Perché mai quella differente reazione? Perché mai quel sublime vertice del Salisburghese ottenne minore adesione della pagina del compositore boemo? La risposta non tarda tant'è palese: tant'è ovvia. Quel Mozart era l'espressione perfetta del Classicismo musicale: equilibrio, misura e decoro eccelso. Quel Mahler il deflagrare degl'istinti, il garbuglio incendiario delle passioni e delle contraddizioni, nel finale risolte in un'indimoniata kermesse sonora e timbrica. Mozart era coscienza pensante; Mahler baccanale di forme. Il pubblico s'è fatto magare da quest'ultimo. A riprova che le apparenze in arte valgono per il pubblico piú dei contenuti. Diciamo che ciò conferma come l'arte autentica non sia mai «popolare». Diciamo che l'arte è riservata a pochi: e che piú essa è profonda piú riduce la propria disponibilità. L'arte dovrebbe esser per tutti, vero, ma, purtroppo (o per fortuna), pochi uomini ne possono partecipare. Per i piú essa è soltanto un crudelissimo equivoco: mero abbaglio. O, peggio, baratro insondabile. (E. Cav.)

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