di MARCO BERTONCINI TEMA scottante tra Otto e Novecento, e anche per non pochi decenni del secolo ...
Aiuta in questa scoperta il recente libro curato da Massimo Baldini, «L'edilizia popolare in Italia agli inizi del Novecento» (Rubbettino edizioni). L'antologia viene pubblicata col contributo della Confedilizia, il cui presidente, Corrado Sforza Fogliani, sigla l'introduzione richiamando lo spunto fornito per la presente raccolta dal libro di Luigi Einaudi «Il problema delle abitazioni» (un testo del 1920, ristampato anastaticamente dalla Confedilizia Edizioni), nel quale si segnalavano le esemplari pagine di Giuseppe Prato sul «calmiere delle pigioni». I saggi sono tratti da «La Riforma Sociale», rivista apparsa nel 1894. Costanzo Einaudi, medico, fratello minore del più celebre Luigi, è autore dello studio sul «Problema delle case popolari all'alba del secolo XX», in cui sostiene, come del resto fanno gli autori degli altri brani, che la via maestra per dare una casa a chi ne abbia bisogno è (lo ricorda Sforza Fogliani) quella della libertà. E gli argomenti per sostenere la necessità di privilegiare il mercato, anche per la costruzione di case popolari, non mancano. Il liberismo, quindi, è alla base delle soluzioni proposte, che tengono conto sì delle tensioni sociali esistenti, delle grandi migrazioni, dell'urbanesimo, delle pressioni esercitate dal movimento socialista, ma anche della necessità per gli stessi Comuni retti da maggioranze che all'epoca si definivano «di estrema» (socialisti, radicali, repubblicani) di far quadrare i conti. Esemplare è la riflessione di Prato, risalente al 1918, quando cioè da poco era stata introdotta la prima legislazione vincolistica in termini di sfratti e di canoni, a causa dell'economia di guerra e dunque da ritenersi eccezionale (un'eccezionalità così poco straordinaria da mutarsi nella norma, atteso che l'ultimo - e tuttora vigente - provvedimento di proroga delle esecuzioni di rilascio è del giugno 2002, con validità fino al giugno prossimo). Di rilevanza odierna è la constatazione seguente: «La storia economica intiera ci insegna che nessuna fissazione arbitraria di prezzi resiste, a non lungo andare, alla contrazione dell'offerta, infiniti essendo gli espedienti per eludere le più draconiane ingiunzioni». Si penserà subito, leggendo queste righe, all'equo canone, che, come Prato paventava, ha recato «litigi e discordie infinite», contribuendo all'esasperazione della crisi e a determinare una «stasi edificatoria». Era, del resto, proprio quello che temeva Bachi, socialista «di buona fede e di buon senso»: «La fissazione di un calmiere delle pigioni non potrebbe avere che un'efficacia nulla e transitoria, e dannosa agli inquilini stessi». Si dirà che oggi le norme del sedicente equo canone appartengono al passato. Non è proprio vero. Quelle disposizioni, risalenti all'epoca del compromesso storico, restano in vigore, dopo un quarto di secolo, per reggere l'intero settore delle locazioni non abitative, e nessuno sembra avere il coraggio di farne piazza pulita, nemmeno quel centro-destra che dice di richiamarsi al mercato.