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Assedio al castello delle emozioni

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Protagonista un uomo divorato dalla sete del sapere. E di sapere

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Un lavoro del genere è fin troppo paziente, ma vale la pena di compierlo, poiché il momento della rivelazione evocativa non scatena soltanto la curiosità, conduce in un «oltre» che diventa una postazione dalla quale la memoria filtra nell'io profondo, fino a recidere gli spazi tra passato e presente. A questo deve aver pensato una delle nostre maggiori romanziere contemporanee, Francesca Sanvitale, accingendosi alla stesura di questo suo nuovo romanzo, L'ultima casa prima del bosco, un castello di destini incrociati che rivela motivazioni opposte a quelle che dovettero animare Italo Calvino quando scelse quella titolazione per uno dei testi più tormentati della sua azione di scrittore. La Sanvitale opera recuperando una sorta di universo concentrato e marginato dalla presenza del documento storico, anche se al contempo privato, e poi perché gli intenti, e la loro realizzazione, appartengono a una categoria della molteplicità in una direzione del tutto nuova nei confronti dello scrittore della Cosmicomiche. Siamo dunque dentro le mura di un vecchio condominio, epicentro di storie di ogni genere che ricoprono una enorme gemma di vicende umane: il pilota di questa nave che solca le onde del tempo con un moto sempre uguale eppure di continuo cangiante, è Giacomo Impronta, uomo dalle molte vite non del tutte superate con l'equivoco o l'ambiguità, spesso con un po' di buona sorte. Può tuttavia esibire molte vite vissute, e forse per questa ragione, o per una imprecisa affinità elettiva, si ritrova fra le mani un vecchio archivio condominiale molto invitante, che lo persuade a lasciarsi sfogliare, all'inizio più per curiosità che altro, poi, una volta penetrato al fondo delle singole storie, per una sorta di assunzione più nobile di conoscenza che lo avvince senza scampo e lo sospinge sempre oltre, per saperne di più. È un ribollire di storie piccole e medie, quasi mai grandi come si addice alle biografie o ai fatti segreti di una comunità chiusa fra il cemento di un condominio. Nella dura battaglia fra la descrizione e la curiosità, quest'ultima vince la partita ed ecco il nostro alle prese con il formicolio dei fatti, come se gestire le vicende altrui rappresentasse un tentativo doloroso ma fortemente fattivo di venire a capo della sua inutile esistenza. Scatta insomma la molla psicologica che convince il mediocre a farsi dominatore, più fra i morti che fra i vivi, c'è da aggiungere: «Adagio, per minuscoli segni, si componeva nella nostra mente la mappa del Partito e della Dittatura. Carta dopo carta, la Costruzione lo portava a immaginare i cambiamenti italiani fuori e dentro il caseggiato. L'armadio era zeppo di fogli appena smossi, di polvere appena sollevata». Non ha molta cultura Giacomo, è perciò è carente di raccordi, confronti verdetti, ma è dotato di molto interesse per quanto legge e apprende: si sa, da piccoli episodi emerge il tessuto storico di una intera comunità e dei suoi capi/gestori. E tutto questo produce passione, alimenta entusiasmo: lettere, circolari ministeriali, relazioni, e quindi possibilità di interpretazioni che dall'aridità del documento raggiungono la vita e offrono la testimonianza sicura, certa, controfirmata. Si dilata il cerchio delle persone coinvolte nell'indagine conoscitiva, e per lo più sono figure di testimoni a conoscenza dei fatti, si direbbe nell'arido vocabolario giuridico. C'è spesso reticenza nelle dichiarazioni, qualche volta è uno sfogo, con precisa distinzione fra i due tempi narrativi cui la Sanvitale evidentemente tiene molto, al punto da titolari con esattezza: La Costruzione e L'ultima casa prima del bosco. Dal riuscito tentativo di mediazione fra le due parti, emerge

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