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di LUIGI LA ROSA LA STAMPA internazionale la definisce la regina dell'editoria francese.

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000copie in pochi mesi, - e premi prestigiosi come il René-Fallet e l'Alain Fournier, Amélie Nothomb è, a 35 anni, una narratrice-cult. Arriva ora da noi il suo ultimo lavoro, «Cosmetica del nemico» (Voland, 128 pagine, 11 euro), indagine filosofica e tentativo di trarre dalle inquietudini di oggi soluzioni di salvezza. Tutto incomincia nella sala d'aspetto di un aeroporto, dove il protagonista è avvicinato da un personaggio che gli rivela di aver violentato e ucciso, vent'anni prima, sua moglie. I ricordi sono confusi, ma emozioni e ossessioni tornano in superficie. Figlia di un ambasciatore belga e nata in Giappone, il primo romanzo firmato a 23 anni, Amélie Nothomb si definisce «malata di scrittura». «È un esorcismo da contrapporre alle minaccia del reale. Ma non immaginavo di avere tanto successo. Nella mia opera di esordio raccontai l'avventura di un vecchio scrittore in fin di vita. È stata un po' come una sublimazione, un trarre fuori l'alter ego». Qual è oggi il suo rapporto con la pagina bianca? «Scrivere è per me naturale. Ma rispetto ferrei ritmi di lavoro: scrivo ogni giorno dalle quattro alle otto di mattina. Questo non solo ha dato un ordine alla mia vita, ma ha contribuito alla mia sicurezza espressiva». In tutti i suoi romanzi la morte occupa un posto centrale. Perché? «È un evento dell'esistenza umana che mi attrae e mi spaventa, qualcosa a cui non so smettere di pensare. A volte mi stupisco nel vedere l'indifferenza dei giovani della mia età nei confronti della morte: come riescono ad accettare che una persona che amano possa prima o poi lasciarli per sempre? Per me la morte è un'ossessione, condiziona tutta la mia vita e le mie scelte». Che cosa le è rimasto degli anni in Estremo Oriente? «Il Giappone mi ha insegnato la freddezza, il distacco. La mia infanzia è costellata di ricordi in cui i miei genitori s'incontravano scambiandosi cerimoniosità. E io li guardavo domandandomi: cosa ci sarà nel profondo delle persone? Il Giappone mi ha resa consapevole che c'è una grandissima differenza apparire ed essere». Oltre che in Giappone, lei ha radici anche in Belgio. Ma il suo editore è parigino, e a Parigi lei trascorre la maggior parte del suo tempo. Dove si sente veramente a casa ? «Uno scrittore si sente veramente a casa solo nel luogo in cui riesce a esprimere sé stesso. Il Belgio è stato per me una delusione. A Parigi invece ho trovato affetti, ispirazione e un editore disposto a credere in me». La sua scrittura è molto radicata nel mondo classico. Perché? «Ho sempre considerato il mito una forma di conoscenza, e fra tutti i miti quello che più mi affascina è quello di Orfeo, che discese agli Inferi per riportare sulla Terra la compagna perduta. Esso mi appare pieno di una poesia indicibile, e mi piace l'ostinazione con cui Orfeo tenta di opporsi alla morte della compagna. È un tema che lego alla riflessione sulla morte e che mi permette di capire anche molte cose della vita». Ha qualche modello letterario? «Non tra gli scrittori di oggi. Seguire dei modelli può rivelarsi una trappola per chi cerca di formarsi uno stile personale. Ma se dovessi scegliermi riferimenti letterari, li cercherei in un arco temporale che va dai classici greci a Diderot».

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