Riscoprire i grandi autori - Una poetica all'insegna dell'autobiografismo
Pirandello, sovrana è la follia
Ma sono domande a cui si può dar risposta? Il caso gioca con noi come vuole: ecco, in quel preciso istante,chissà perché, punta la mira su di noi e parte il colpo. Allora, bisogna stare al gioco, per quanto terribilmente drammatico esso si possa presentare: e uno scrittore lo fa, trasformando i suoi interrogativi esistenziali in invenzione letteraria. Imprigioniamo il caso in una storia, costruiamoci su una vicenda tessuta di assurdità, proponiamo a lettore le nostre domande affidandole a un personaggio. Cento anni fa avviene la disgrazia della miniera, cento anni fa Luigi Pirandello comincia a scrivere «Il fu Mattia Pascal». Il romanzo esce a puntate sulla Nuova Antologia fra l'aprile e il giugno del 1904. Subito dopo appare in volume. Sei anni dopo l'editore Treves lo ripropone con alcune modificazioni, mentre l'opera viene tradotta in tedesco e in francese, e via via in tutte le principali lingue europee. Il romanzo è di straordinaria forza innovativa e, come sempre avviene in questi casi, pubblico e critica reagiscono o con "osanna" o con "crucifige". Un po' tutti comunque si accorgono che la poetica pirandelliana è impastata di autobiografia: la rivoluzione creativa e il linguaggio nascono dall'esigenza di comunicare un proprio frastagliato universo e insieme di illuminare la condizione umana. Luigi Pirandello, trentasei anni, è nato ad Agrigento nella villa materna, detta il "Caos". Segno elettivo, "nomen omen", presagio? Sia come sia, il "caos", o quanto meno un contraddittorio fermento, par contraddistinguere un po' tutto. In casa si respirano eredità risorgimentali e garibaldine e un fiero anticlericalismo: per reazione, Luigi, cui non è stato dato alcun tipo di educazione religiosa, si accosta alla Chiesa. Il padre, affittuario di alcune zolfare,è un uomo violento e prepotente, e gli impone di iscriversi alle scuole tecniche: Luigi obbedisce, ma studia i classici per conto proprio. Già l'esistenza incomincia a snodarsi all'insegna del doppio, delle maschere: siamo obbligati ad indossarle per farci accettare; agli altri non interessa il nostro "Io" ma quello che vogliono imporci; ma la forma cui siamo costretti è una morte da cui bisogna fuggire. Utilizzando ogni sorta di espediente. Gli altri vogliono che ci iscriviamo a Legge? D'accordo: ma noi, in contemporanea, ci iscriviamo a Lettere. Ci sono, poi, i mesi trascorsi accanto al padre nella zolfara, senza alcun atteggiamento da "padroncino": Pirandello guarda con "pietas" alle condizioni di disagio sociale e si accosta ad alcuni personaggi che nel '93 animeranno le battaglie dei Fasci siciliani. Ma ha fame di orizzonti più vasti di quelli della sua terra. Eccolo a Roma, a studiar filologia romanza: ma litiga con un professore di latino ed è allontanato dalle lezioni. Allora spicca il volo per la Germania dove gli studi filologici sono rigorosissimi e si laurea a Bonn discutendo in tedesco una tesi su «Suoni e sviluppi di suoni nella parlata di Girgenti». Poi, il ritorno in patria. A Roma stringe amicizia col conterraneo Luigi Capuana, che lo introduce nel mondo dei letterati e dei giornalisti. Pirandello scrive novelle e poesie. E il suo primo romanzo, «L'esclusa». Già tipicamente pirandelliana la situazione. Marta Ajala, accusata di un adulterio non commesso, viene cacciata di casa dal marito, ripudiata dal padre, bandita dal paese. Quando l'adulterio lo avrà commesso davvero e sarà rimasta incinta, il consorte la riprenderà con sé. Una storia ferocemente umoristica, con aspetti grotteschi, che denuncia le mascherature sociali, la mistificazione della "vox populi", le ipocrisie dei codici d'onore. Nel «L'esclusa» (1901), Pirandello è spietato e corrosivo, e altrettanto lo sarà nel «Turno» (1902): storia di una specie di rotazione tra i pretendenti alla mano di una bellissi