Bush cerca la «pax» romana
UNO STUDIO DI LUTTWAK
N. Luttwak, La grande strategia dell'Impero romano. L'apparato militare come forza di dissuasione, Milano, 2002, ed. Bur, pp. 350 (giunto ormai alla 14ª edizione) proprio nel momento in cui più probabile si fa la guerra, chiarisce non poco i rapporti fra studio dell'antichità e gestione della politica. L'Autore, come è noto, non è uno studioso qualsiasi, essendo il direttore del programma di geoconomia presso il Center for Strategic and International Studies di Washington e consigliere militare del Pentagono e quindi uno dei più ascoltati consiglieri della Casa Bianca. La tesi che Luttwak espone nel libro può essere così riassunta: nel momento in cui la sicurezza di un grande organismo politico è in pericolo diventa opportuno e di grande insegnamento tornare alle radici storiche ed esaminare le strutture del più riuscito esperimento di governo soprannazionale della storia, cioè l'Impero Romano, l'unico esempio di Impero multirazziale e multinazionale che sia durato più a lungo nella storia e come tale quindi da tenere in grande considerazione. La chiave per intendere questa strabiliante durata sta, a detta di Luttwak, nell'uso dell'apparato militare come forza di dissuasione. Il riferimento all'«Impero» americano è più che evidente e a dichiararlo è lo stesso Luttwak nella prefazione al volume (pp. 9-10) quando istituisce un confronto fra il pensiero strategico statunitense e quello dei Romani, confronto che J. F. Guillan, nella premessa al volume, ritiene «provocatorio e stimolante». A sollecitare il confronto fra il pensiero strategico dell'oggi e quello dei Romani è la constatazione della non validità delle concezioni postnapoleoniche «clausewitziane» e della loro incapacità di spiegare le nuove tecniche di distruzione di massa. Del resto, sostiene Luttwak, come al tempo dei Romani «ci troviamo oggi di fronte alla prospettiva non di un confronto decisivo ma di un permanente stato di guerra. Come i Romani, dobbiamo proteggere attivamente una società avanzata contro una varietà di minacce, piuttosto che concentrarci sulla distruzione bellica delle forze nemiche e, soprattutto, data la natura delle armi moderne, dobbiamo limitarne l'uso e servirci invece pienamente del loro potenziale diplomatico». L'apparato militare, dunque, come forza di dissuasione. Attraverso una rigorosa analisi delle fonti Luttwak prende in esame il periodo che va dal 1° al 3° secolo dopo Cristo e quindi da Augusto a Diocleziano suddividendo la ricerca in tre capitoli, con le tre diverse strategie che egli individua nella politica romana nei confronti dei popoli assoggettati. La prima strategia riguarda la condizione di clientela. Una fase con tre momenti: una zona di controllo diretto, una seconda zona concernente gli Stati clienti controllati con la persuasione, una terza zona riguardante i popoli clienti che vivono al di là degli Stati e che rappresentano l'influenza esterna di Roma. Nella zona di controllo diretto, Roma ha truppe imperiali pronte per guerra di conquista dei territori al di là di quelli dei popoli clienti ma anche pronte per intimidire i popoli clienti stessi. Ai confini dell'Impero vi sono altre truppe pronte a difenderlo da aggressioni esterne: queste truppe romane vengono affiancate dalle truppe degli Stati clienti composte di veri e propri corpi speciali che mancano all'esercito regolare romano. Questo sistema si afferma fino al 68 d. C. La seconda strategia si affermò nel periodo successivo pervenendo al '80 d. C. È la fase della costruzione di frontiere scientifiche e di difesa di sbarramento sia nel deserto arabico che nei confini fluviali fino ai valli costruiti nel terreno come quello adrianeo in Scozia. La difesa dei confini aveva così una sua dimensione tattica ed una strategica. Quando i confini diventano sicuri si chiude il sistema clientelare. Ed allora nasce la difesa «in profondità» del sistema. Non si tratta più di difendere gli Stati clienti attraverso sussidi e incentivi: qui si tratta di difendere, attraverso la