I VERSI DI MOSCA
Troppo rare le parole per migliaia di sentimenti
È la fede veicolo di poesia o la poesia veicolo di fede? Può l'uomo morire o dividersi per passione di una creatura o trovare dentro questo abbandono un ritorno alla povertà originale? C'è bisogno in ogni uomo a un certo punto di ritornare povero come San Francesco, di ritornare bambino. È questo il momento della poesia. Paolo Mosca ci offre, nella sua raccolta «Soffio o Uragano?» (Guida editore), con semplicità e ricchezza il suo ritorno alla fede, dopo aver conosciuto a lungo la vita, perché non è più giovanissimo, dopo aver sperato e forse deprecato la sua aspirazione a un bene possibile, incerto, come tutti noi, e come Quasimodo in un suo bellissimo verso allarga la mano per dire a Dio: «Dammi il dolore, cibo quotidiano». Ma è un dolore che non avrà più ripensamenti e che diventa in questo libro il principio non di un disvelamento ma di una seconda vita poetica che lo farà sorridere. Scrive Paolo Mosca nella poesia da cui è tratto il titolo del suo libro: «Le parole sono ormai rare e i sentimenti a migliaia./ C'è il vuoto tra quello che scrivo e quello che sento soffro godo amo./ E poi perché scrivere con la pretesa d'essere un caso un diverso: uno da segnalarsi?/ Siamo troppi e troppo soli ci somigliamo soltanto nella morte: fino a quell'attimo ognuno è convinto d'essere Dio./ Forse è crudeltà cercare di capire di trovare le radici sacre e pagane. Passiamo come uragani o come soffi. Ma passiamo./ Dicono che nel deserto il profeta conosca il dopo: ma per arrivare alla sua duna dovremmo vivere duemila anni./ Allora perché il profeta non ha pietà? Che ci venga incontro nel tempo nella sabbia come uragano o come soffio./ Ma presto: perché stiamo passando. Non so se mi state ancora ascoltando./ Se dovessi scomparire continuate voi a gridare aiuto o a cantare: incoscientemente». In questa poesia si sente il bisogno di dire "fede" attraverso i versi. E nel verso devo dire che c'è sicuramente tutto il riscatto della parola e un amore che prevarica ciò che ci deprime, vale a dire il male. Quindi poesia come ricerca di verità ma anche la verità come ricerca della poesia. Certo l'uomo nascendo peccatore gioca tutto se stesso anche nel proprio pianto, ma c'è un momento in cui l'uomo riposa e riposa nel volto grande di Dio, talmente grande che ci accomuna tutti. Auguro a Paolo Mosca ancora limpida ispirazione: affinché tutti possano verificare com mano quanto sia felice la vita insieme alla poesia. E per concludere vorrei citare una poesia del libro che mi è particolarmente cara che si intitola: «Ai ladri». «Stanotte sono venuti i ladri nella mia casa./ Non hanno rubato niente. Ho ritrovato la mia malinconia intatta sulla poltrona: scriveva a macchina./ Raccontava ad altri ladri che ero ancora ricco». Paolo Mosca, «Soffio o Uragano»Edizioni Guida