QUANDO A ST. GERMAIN RUPPE CON JACQUELINE

Invece era la donna di Picasso, e questo bastava a riempirle la vita. Una mattina - erano gli anni Cinquanta - squillò il telefono nella mansarda che abitavo a Rue Jacob: un'amica m'avvertiva che c'era stata tempesta chez Pablo, erano volati i piatti e gli insulti, e Jacqueline aveva rotto con il Genio. Certo, soffriva; al punto da ricorrere ai farmaci ansiolitici. Scappata in casa di un'amica, ora cercava di incollare i cocci della sua vita terremotata. A quel tempo lavoravo per «Epoca» e passavo buona parte del tempo libero con un estroso inviato dell'Europeo: Manlio Cancogni. Poiché detesto i colleghi che per uno «scoop» tradiscono l'amico, telefonai a Manlio e gli dissi: "Corri, ho una storia stuzzicante per le mani». Venne, e insieme studiammo la strategia della intervista. «Ho provato a chiamarla - spiegai a Manlio - ma non c'è verso di farla parlare. L'amica che la ospita dice che vuole sentirsi una murata viva». Non ci restava che il vecchio trucco delle rose. Andammo dal fioraio di boulevard Saint Germain e comprammo tredici rose fiammanti dallo stelo lungo, proprio come le gambe di Jacqueline. Poi suonammo alla sua porta. Una voce piena di sospetto domandò chi fosse. Ed io, ipocrita: «Il fioraio». Ci fu un po' di trambusto. Jacqueline deve essersi domandata: «E se fosse lui che ti manda dei fiori?». La porta si spalancò. Jacqueline , gli occhi cerchiati d'insonnia, non seppe come respingere i due intrusi. E appena ebbe intuito che non eravamo garzoni di bottega, ma reporter ficcanaso, si piegò alle regole del galateo e ci fece accomodare. Più che una intervista, per almeno dieci minuti fu una scena da film muto. Jacqueline si torceva le mani per il forte imbarazzo; noi ci guardavamo intorno, con piccoli colpi di tosse. Alle pareti erano appesi alcuni quadri del Maestro-sultano. Infine io ruppi il silenzio e dissi: «Volevamo solo portarle il segno della nostra simpatia». A quel punto due lucciconi spuntarono sugli occhi scuri, vellutati di Jacqueline. Cancogni osservò: «E' sempre difficile fare compagnia a un genio». Jacqueline sorrise: «E' vero, ma c'è genio e genio. Certi sono così narcisisti che non s'accorgono di calpestare le persone amate». «Certo che di belle donne ne ha fatte piangere parecchie - disse Cancogni - Il Maestro ha più talento che pietà». «Io l'ho molto amato, e non mi vergogno di amarlo ancora - ammise Jacqueline - Ma è un fatto che lui, se non si diverte, non gli pare di vivere. Non c'è niente che lo appaghi di più che farsi beffe del mondo». «San Paolo si pentì a Damasco - provai a scherzare - Anche i duri hanno un cuore». «Su Pablo nutro dei dubbi: forse ha un motore diesel».