Odissea dall'Asia al vecchio continente
Gli interpreti sono due ragazzi pakistani, Jamal ed Enayat: questi sono i loro nomi anche nella realtà. I due cugini hanno davvero attraversato - con mezzi di fortuna - da Peshawar, al confine con l'Afganistan, tutta la Via della Seta, per raggiungere la Gran Bretagna. Mister Winterbottom, come è nata l'idea del film? «Per quanto possa apparire strano, la realizzazione del film è stata ideata molto prima dei tragici eventi dell'11 settembre. Mi sono invece ispirato all'incidente del giugno 2000, quando 58 clandestini cinesi morirono stipati dentro un camion che doveva portarli all'estero. Mi chiedo ancora come sia possibile che le nostre reazioni continuino ad essere ostili verso persone giunte dopo tante difficoltà in Occidente. Nel mondo occidentale circola ormai un'idea assurda: chi fugge dal proprio Paese perché politicamente minacciato deve essere accettato, mentre chi fugge per fame non ha nessun diritto». Quali problemi ci sono stati nel girare un film in Turchia, Iran e Pakistan, quattro mesi dopo le vicende dell'11 settembre? «L'intera troupe ha dovuto seguire uno speciale corso di addestramento per persone costrette ad operare in territori ostili. Ma il vero problema è stato ottenere i visti per i due protagonisti: tutti i Paesi coinvolti pretendevano che i due ragazzi avessero già il visto inglese. Alla fine, abbiamo usato dei passaporti falsi. Il mio prossimo film, «Codice 46», tratterà proprio di questo: senza un pezzo di carta non si va da nessuna parte e non si ha identità». Venerdì, il film uscirà nelle sale inglesi: quale pensa sarà la reazione del pubblico e del governo? «Non ho voluto fare un film politico, anche se da cittadino inglese penso che l'atteggiamento di Blair sia ora quanto mai bizzarro. Ciò che più m'interessava era mettere in risalto il problema dei rifugiati, non solo afgani, ma di tutto il mondo». D. D.