Una Biennale a rischio sociologia
La dittatura dello spettatore», per non parlare delle sezioni «Clandestini», «Il Quotidiano Alterato», «Zona d'Urgenza», «La struttura della sopravvivenza» e via discorrendo. E invece stiamo parlando della cinquantesima Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia, che si inaugurerà il 14 giugno nella città dei Dogi. Ieri le novità dell'evento sono state presentate a Roma, nell'Auditorium di Renzo Piano, dal presidente della Biennale Franco Bernabè e dal direttore delle Arti Visive Francesco Bonami. E con il critico-curatore abbiamo avuto un lungo colloquio. Signor Bonami, che cosa significa «La dittatura dello spettatore»? «So che questo titolo sta suscitando molte polemiche. Eppure significa semplicemente che con questa Biennale vogliamo restituire allo spettatore una dittatura positiva e partecipativa, al di fuori della schiavitù dell'audience. Lo spettatore deve mettere alla prova la propria unicità di fronte all'unicità dell'opera d'arte. Vogliamo suscitare una grande partecipazione di pubblico. L'arte contemporanea deve andare verso la gente». Ma non si corre il rischio di fare troppa sociologia invece che privilegiare la forza comunicativa di quelli che sono linguaggi essenzialmente visivi e non verbali? «Effettivamente i titoli delle varie mostre della Biennale sviano leggermente dalla realtà delle opere. Molta arte contemporanea rischia di diventare sociologia. Io invece sto lavorando affinché i linguaggi visivi delle opere esposte non siano schiacciati da tentazioni sociologiche. Del resto il pubblico dell'arte non deve trovare in una mostra le stesse immagini che troverebbe in un telegiornale». All'interno della Biennale lei ha affidato varie mostre alla cura di critici internazionali. Altre le curerà lei stesso mantenendo anche la supervisione globale. È finita l'epoca del direttore-superstar che crea, senza alcuna dialettica, la propria Biennale personale? «La realtà artistica internazionale è troppo complessa e multiforme per essere interpretata e documentata da un solo critico. Io credo molto nel lavoro di gruppo e così ho chiamato dieci curatori a cui verrà riconosciuto un ruolo autonomo». E la partecipazione degli artisti italiani sarà un po' più ampia di quella delle ultime edizioni? «Non particolarmente, almeno in termini numerici. Però gli artisti italiani saranno disseminati ovunque e la qualità delle loro opere sarà notevole. Saranno valorizzati soprattutto i giovani. Inoltre ho deciso di attribuire due Leoni d'oro ai nostri Carol Rama e Michelangelo Pistoletto».