Stati di allucinazione virtuali
Questi e altri gli sconfinamenti che avverte il pubblico di «Lux», l'installazione con il marchio «Granular Synthesis» ospitata fino al 15 aprile a Milano, nella Galleria di Lia Rumma. È una prova forte per lo spettatore confrontarsi con le percezioni che gli scarica addosso «Lux», ipnotizzandolo con flussi incessanti di colori elettronici e avvolgendolo in una sorta di tromba d'aria di suoni in crescendo. L'incalzare della macchina, che il talento dei computer-artisti austriaci Kurt Hentschlager e Ulf Langheinrich ha reso autonoma e inarrestabile nella trasmissione del suo universo tecnologico, conduce a sensazioni di coinvolgimento fisico e mentale che non tutti possono reggere. E, difatti, gli autori di «Lux» avvertono con fermezza gli eventuali spettatori afflitti da cardiopatia di rinunciare all'esperienza proposta dalle opere di «Granular Synthesis». Al centro della ricerca artistica di Kurt e Ulf (nella foto), da oltre 12 anni, vi è l'esplorazione delle potenzialità dei software. Il nome che si sono dati, appunto «Granular Synthesis», è quello di una tecnica che sintetizza campionature di audio, successivamente assemblate digitalmente ed eventualmente associate alle immagini di un video. Già dal primo, grande lavoro, «Model 5.5», che li ha proiettati sulla ribalta internazionale, l'impatto tra l'immagine del volto della modella giapponese, trascinata a velocità spaziale dagli stimoli sonori, e le suggestioni sensoriali che essa provocava dai grandi schermi su cui veniva proiettata, ha subito reso evidente la sfida emotiva lanciata dai due giovani artisti viennesi al pubblico che affolla gli spazi delle pieces di «Granular Synthesis». Ed è una sfida senza tregua, cui lo spettatore non può sottrarsi, cercando momentaneo rifugio negli attimi di pausa, come è possibile, ad esempio, in discoteca, con i bombardamenti della technomusica. Qui non c'è un lancio con le sue pause, né percussioni ritmate dal silenzio del «su» prima del fragore del «giù». Qui immagini e luci sono trascinati dalla violenza dei suoni, incessantemente, ossessivamente. Le vibrazioni generate dai software impongono un ritmo incalzante, che non offre vie di scampo, alle immagini assolutamente astratte di «Lux». Non c'è intento narrativo nelle alienanti sequenze digitali di onde magnetiche di questo lavoro. C'è uno scontro frontale con la massa di emozioni che c'investe, c'è l'abbandono ad una morsa insaziabile di energia sprigionata dall'installazione che Lia Rumma ha portato a Milano. Un'esperienza simile a quella dell'ultima Biennale di Venezia, con «Reset», al padiglione austriaco, dove Kurt e Ulf avevano sfidato gli spettatori a infrangere la loro barriera di immagini e suoni digitali per scoprire nuovi orizzonti e immergersi in nuove percezioni.