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Foro Italico un museo a cielo aperto

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È sufficiente riflettere al collocamento topografico del MAXXI per rendersi subito conto di come esso venga a costituire il fulcro di un nuovo e complesso sistema museale, che inizia idealmente con la Galleria Nazionale d'Arte Moderna, del resto circondata da molte delle Accademie artistiche e culturali attivate da paesi esteri a Roma (Austria, Inghilterra, Belgio, Olanda, Giappone, Egitto, Danimarca, Romania) e dal non lontano Museo Andersen, per proseguire alla grande con il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia arricchito dalla recente addizione di Villa Poniatowski, e giungere quindi al nuovo centro di Via Guido Reni. Ma il sistema così delineato, a volerlo arrestare a questo segmento, resterebbe fortemente incompleto: perché esso si protende spontaneamente al di là del Tevere, attraverso il Ponte Duca Filiberto d'Aosta, opera di Vincenzo Fasolo e esso stesso pregevole testimonianza architettonica, fino a comprendere uno dei più significativi complessi architettonici dell'Italia e forse dell'Europa degli anni Trenta, che è il Foro Italico. Ora è vero che il Foro fu ideato come una «cittadella dello sport», ruolo che ha d'altronde sempre assolto e continua tuttora ad assolvere, ma è anche vero che lo specifico pregio artistico ne indirizza la vocazione, in tutto o in parte, verso l'ambito dei beni culturali e, propriamente, del museo. Basti pensare allo Stadio dei Marmi, straordinaria raccolta all'aperto di scultura italiana del '900; essendo i candidi colossi di marmo opere, tra gli altri artisti, di Eugenio Baroni e Francesco Messina, Ercole Drei e Attilio Selva, Publio Morbiducci e Libero Andreotti, Silvio Canevari e Nicola D'Antino. Per non dire dell'imponente piazzale, tra l'obelisco e la Fontana della Sfera, pavimentato con mosaici ideati da un grande artista come Gino Severini. Proprio per questo è motivo di desolazione spirituale e di indignazione civile constatare lo stato di degrado e l'assenza di vigilanza in cui vengono tenute queste ragguardevoli testimonianza dell'arte italiana del XX secolo. Lastre lapidee infrante, paramenti anneriti dalle alghe, campo libero ai graffitari, le cui scritte si potranno anche rimuovere ma a prezzo della corrosione del marmo, fontanine prosciugate e rifiuti dovunque. Consigliamo a chi di dovere una visita al pulvinare dello Stadio dei Marmi, ridotto a pattumiera e latrina, con persino i due gruppi bronzei di Aroldo Bellini umiliati a libero supporto per scritte oscene col pennarello. Per non parlare dei mosaici impunemente devastati da orde di pattinatori e di scatenati virtuosi di skate-board che, ancor più rovinosi dei primi, scheggiano liberamente lastre e blocchi di marmo. Tuttavia il destino più amaro è quello riservato ad un autentico capolavoro dell'architettura italiana del '900, la Casa delle Armi di Luigi Moretti, tra l'altro l'edificio del complesso di più spontanea vocazione museale. Trasformata brutalmente, all'inizio degli anni '80, in aula bunker per il Processo Moro, e ultimamente dismessa anche da tale destinazione giudiziaria, la Casa delle Armi reclama di essere restaurata e riportata alle sue linee originarie. Tra l'altro, nel 1990, a seguito dell'indignazione suscitata dal vergognoso stravolgimento dello Stadio Olimpico, Coni e Ministero di Grazia e Giustizia promisero come imminente il restauro dell'edificio e la sua trasform

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