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di PIRRO DONATI L'ATTUALE situazione internazionale è avvertita dalle persone comuni ...

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Ieri, salito sul palco dell'Opera di Roma per eseguire la «Sinfonia n. 9» di Beethoven, Gianluigi Gelmetti (nella foto) ha voluto dedicare il concerto alla memoria di Aldo Moro di cui ricorreva l'anniversario del rapimento, e agli uomini di spettacolo scomparsi in queste ultime settimane: Petrassi, Sordi e naturalmente Roberto Murolo. Ha anche ricordato quegli ideali di umanità e fratellanza di cui la sinfonia è simbolo e che, secondo il maestro, oggi sono rappresentati dalle parole del Papa. Così, pur senza nominare la pace, è stato evidente a cosa Gelmetti alludesse, e il direttore si è beccato la prima ovazione senza neanche aver alzato la bacchetta. Quando le «quinte vuote» della Nona hanno cominciato a risuonare è apparso evidente che Gelmetti avrebbe diretto con tempi meditati. Dunque non un'esecuzione alla garibaldina, come ci ha abituato l'attuale routine. Il tutto naturalmente Gelmetti l'ha fatto assumendosene tutti i rischi: da una parte l'Orchestra e il Coro dell'Opera si esponevano nel repertorio sinfonico che non gli è congeniale; dall'altra, fino a giovedì sono stati impegnati con lo spettacolo «Symphonie fantastique - Lélio» di Berlioz, quidi con poche prove a disposizione. Certo si è avvertito qualche scollamento tra le sezioni, in modo particolare nel primo movimento, ma poi l'interpretazione è stata convincente. Già nel secondo movimento, lo «Scherzo», l'andamento è stato più unitario e sono emersi i valori che il direttore ha più a cuore: il rispetto della partitura, con l'esecuzione dei ritornelli, e la fluidità musicale. Perché, pure con tempi lenti, non abbiamo ascoltato un Beethoven tronfio, e nell' «Adagio molto cantabile» è emersa una sonorità morbida e pastosa. Le quattro voci soliste, Carla Maria Izzo, Laura Polverelli, Massimo Giordano e Marco Spotti, nell'ultimo movimento hanno una parte impegnativa ma non esorbitante che hanno affrontato con decisione insieme al coro. Compito più arduo è quello del baritono, e Marco Spotti dopo aver iniziato trascinandosi un po' sul tempo si è ripreso cantando piuttosto bene nell'«Alla marcia». Lunghissimi gli applausi che alla fine hanno ripagato direttore, cantanti e musicisti della fatica domenicale.

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