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«I soldi li odio e li sperpero»

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L'attore Ben Affleck confessa i suoi paradossi e la sua infelicità

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Ma Ben Affleck non è nuovo a macroscopiche vincite o perdite al gioco. Tre mesi fa aveva vinto duecentomila dollari, poi distribuiti in regali e mance a croupier, cameriere, autisti, facchini e valletti. «La mia vera passione è buttare via il denaro, a me i soldi davvero non interessano» confessa l'attore americano in vista delle imminenti nozze con Jennifer Lopez «ne guadagno davvero troppi, mi piace distribuirli con chi ha avuto meno fortuna di me». La fidanzata la pensa in un altro modo, tant'è vero che quando Affleck è ritornato a casa da Las Vegas, Jennifer Lopez l'ha buttato fuori e lui se n'è andato a dormire in albergo, approfittando per fare una puntatina ad una bisca clandestine per finire di nuovo sulle prime pagine dei giornali per aver dato come mancia ad un tassista gli ultimi diecimila dollari che gli erano rimasti in tasca. C'è chi lo considera un santo, chi un malato, chi lo disprezza apertamente preconizzando una fine ingloriosa, chi invece lo osanna portandolo ad esempio come l'ultimo «grande esteta di un'autentica vita glamour senza finzioni». Grazie al suo personaggio di «Daredevil» nell'omonimo film appena uscito, tratto da una celebre serie di fumetti degli anni '50, Ben Affleck è diventato il nuovo eroe dei giovanissimi adolescenti americani, simbolo del nuovo millennio di quella tradizione americana che sente il bisogno di bruciare tutto e subito, vivendo una vita sconvolgente, nel bene e nel male. L'esagerazione è ciò che lo contraddistingue. Non a caso, per quest'intervista, ha ordinato 48 bottiglie di una bibita gassata, dieci chili di pasticcini e circa duecento tramezzini. Finiti, com'è nella sua abitudine, in regalo ai bambini poveri della zona sud di Los Angeles «quelli che le pastarelle le vedono soltanto nelle reclame alla televisione». Come mai un film come Daredevil? «Che cosa c'è di strano?» Si tratta di un fumetto. Come mai questa scelta? «A dir la verità non conoscevo il personaggio prima di leggere la sceneggiatura. Poi mi sono entusiasmato e così ho pensato che potevano entusiasmarsi anche gli spettatori, e allora ho accettato. Del resto, oggi, ciò che conta è lo spettacolo, la resa finale. Soprattutto in un film zeppo di effetti speciali, Shakespeare o un fumetto finiscono per essere la stessa cosa». Lei ha iniziato come sceneggiatore insieme a Matt Damon, firmando il testo di «Good will hunting» e avete vinto subito un Oscar per il miglior copione. «Di strada ne è passata tanta nel frattempo, quasi dieci anni ormai. E sia il cinema che la mia vita sono cambiati molto. Oltre alla cifra che mi pagano. Tutto è diventato omologo. Il mondo ormai mi appare quasi appiattito, e siccome so che starà morendo dalla voglia di farmi delle domande sulla mia visita al Casinò di Las Vegas, visto che la notizia era su tutte le pagine dei giornali, parliamone pure. Sì, vado a giocare alla roulette e adoro andare a Las Vegas perché lì mi sento vero. Quello è un posto vero, lì non si raccontano frottole, non si è costretti a vivere una imagine falsa. Essere diventato famoso non mi ha aiutato molto nella mia ricerca della serenità interiore. È vero che dalla vita non si può pretendere tutto, ma devo ammettere che il successo mi ha davvero deluso. È per questo che butto via i soldi non appena posso. Lo so che non è politicamente corretto e dovrei dire magari delle cose diverse. Se lo sapesse la mia fidanzata, l'attrice Jennifer Lopez, andrebbe su tutte le furie. Lei detesta questa mia parte. E' quella invece che io preferisco, è quella che mi fa sentire vero». Non è contento di fare l'attore? «Ma sì, dopotutto l'ho scelto io». Lo dice con un'aria di tristezza. «Mi fa sentire triste, infatti». Che cos'è che la rattrista? Dover sempre fingere, interpretare una parte? «No, anzi. Questo è l'aspetto che mi risulta più facile. È tutto il

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