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Coronavirus e la sindrome della capanna. La psicologa: molte persone non escono più

La psicologa e psicoterapeuta Sara Reginella lancia l'allarme: "Dopo il lockdown molte persone sono rimaste a casa. In gergo si chiama sindrome della capanna"

Massimiliano Lenzi
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“Dopo il lockdown molte persone sono rimaste a casa. Se da un lato, soprattutto in televisione, sui media, ci mostrano spesso persone che stanno in assembramenti, in piazze e luoghi pubblici, beh ce ne sono molte altre che invece hanno difficoltà ad uscire di casa”. A parlare in questa intervista a Il Tempo è Sara Reginella, psicologa e psicoterapeuta, di Ancona, che ci racconta le sue preoccupazioni per quegli italiani, e non sono pochi, che non vogliono tornare a vivere. Che succede dottoressa? La maggioranza degli italiani se ne sta ancora chiusa in casa? “La maggioranza non lo posso affermare, però abbiamo rilevato questa problema come psicologi e come clinici: c'è una difficoltà a tornare a vivere. Glielo dico come clinico, per la mia esperienza personale di lavoro e di studio”. Questo cosa significa? “Che stare rinchiusi dentro casa, in isolamento, in una condizione innaturale per un periodo così lungo ha indebolito, dal punto di vista psicologico, molte persone. Vede, questa tendenza a non uscire non sempre è legata al timore del contagio ma è legata alla difficoltà di tornare a vivere”. Leggi anche: Marcello Lippi e il coronavirus: abbiamo preso una mazzata Stiamo assistendo ad una sindrome del prigioniero? Una parte degli italiani hanno sviluppato la sindrome del prigioniero? “La chiamano, in modo divulgativo, la sindrome della capanna. E direi che sì, una parte degli italiani sta vivendo questo, e l'allarme non vale soltanto per gli adulti ma anche per gli adolescenti. Tutti questi ragazzi che hanno bisogno di socializzare, di stare a contatto con i loro coetanei, si sono ritrovati a casa per mesi, incollati ad un monitor”. Quindi tutta questa movida dei giovani non c'è? “C'è una parte di giovani, e lo dico con preoccupazione, che è rimasta davanti ai video, a fare lezioni a distanza con la scuola, oppure con videogiochi, chat, PlayStation, applicazioni internet, e queste persone hanno adesso difficoltà ad uscire. Perché nell'equilibrio psichico di un giovane un isolamento di due mesi, a casa con i genitori, guardi che è una cosa estremamente forte. Questo poi non vuol dire che fuori non ci siano assembramenti. Però ci sono casi di persone che non escono. Poi sa sugli assembramenti io sono molto sincera, bisognerebbe vedere con quali obbiettivi di fotografia vengono scattate le immagini divulgate”. È più preoccupante la situazione delle persone che non escono rispetto a quella delle persone che escono e magari si assemblano? “Sono entrambe situazioni pericolose. Perché da un lato chi non rispetta le distanze mette in pericolo la sicurezza di tutti. Dall'altra - quelli che non escono - abbiamo persone che rischiano di sviluppare problematiche importanti. Devo anche dirle che le scelte del governo, a mio avviso, ci hanno riportato indietro di non so quanti anni”. Stanno cavalcando troppo, e con cinismo, la paura? “La mia critica è che si calca sulla paura ma che poi non si aiutano le persone in difficoltà. Se io ho un cittadino italiano che è rinchiuso in casa ed ha difficoltà a tornare alla propria vita ed ho un cittadino italiano che può suicidarsi da un momento all'altra perché il suo lavoro si è bloccato, beh io governo devo intervenire per aiutarle queste persone che magari non si possono permettere, in questa fase di crisi economica, di pagarsi una terapia. E in Italia invece non sono stati stanziati fondi per intervenire su questi aspetti”. Su cosa si può lavorare per convincere le persone ad uscire ed a superare la loro sindrome della capanna, ovviamente con tutte le precauzioni del caso? “Nei casi più gravi bisogna intervenire con la psicoterapia, è la base. Per questo dico che non si possono abbandonare gli italiani che si trovano in gravi condizioni di fragilità e vulnerabilità. In situazioni meno gravi io suggerirei alle persone di fare dei passi graduali, per cominciare a rientrare nella vita, perché le paure vanno affrontate gradualmente. E poi noi italiani dobbiamo lavorare per essere solidali, perché questa quarantena ha sottolineato un momento di solitudine e dobbiamo tornare il prima possibile alla vita sociale. Pensi soltanto al blocco di cinema, spettacoli, teatro, della cultura, anche questo è dannoso, non fa bene. Tornare a vivere a 360 gradi, con passi graduali e con delle precauzioni”. Un consiglio per farlo? “Non bisogna mandare solo messaggi di paura. Bisogna mandare messaggi di speranza, con una informazione corretta. Anziché spaventare le persone - perché vede di fronte alla paura la gente o nega il problema e fa gli assembramenti, oppure si chiude in se stessa e stop - bisogna informare con una speranza. E per fare questo l'informazione corretta è alla base di tutto”.

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