un paese senza futuro
Coronavirus e decreto rilancio, parla lo chef Vissani: così i ristoranti chiuderanno tutti
L’Italia sta morendo. I 55 miliardi del decreto non bastano. Ne servirebbero almeno da 800 a 1000 di miliardi per fare ripartire il nostro Paese. Ma lei lo sa che il settore del turismo e della ristorazione vale il 13% del Pil italiano?». Gianfranco Vissani è un grande chef italiano, un imprenditore che vende emozioni attraverso il cibo e le sue pietanze ai clienti, e adesso si è rotto le palle. Non vuole l’elemosina, vuole soltanto lavorare. Con qualità. Noi de «Il Tempo» lo abbiamo intervistato. Vissani, cosa non le torna del rilancio Italia varato dal Governo? «Vede, io questo lavoro lo faccio come passione per me, per i miei colleghi. D’accordo, c’è stata una pandemia. Ma adesso devono metterci in condizioni di poter lavorare. Con queste condizioni di cui parlano solo i grandi gruppi che hanno un potenziale economico enorme e che avranno già fatto un test del personale - con un calo di stipendi, per non far gravare i costi su tutte le strutture - potranno lavorare. Ma voi pensate che il bello dell’Italia e del suo turismo possa andare avanti solo con le multinazionali del tempo libero?». Lei dice di no, immagino? «La piccola impresa che sta nel borgo antico, gestita dalla mamma, dalla figlia e dal marito, beh quella - e in Italia sono tante - non ce la farà. Parliamo di gente che vive del proprio lavoro. Così, a queste condizioni, non gliela fanno. Ma lei lo sa Lenzi che c’è già chi è disperato ed ha già mollato oppure pensa addirittura di farla finita? Queste situazioni devono far pensare. Una mia amica di Lucca sta pensando, con i suoi genitori, di non riaprire affatto». Sento rabbia nelle sue parole «Rammarico. Impotenza. Perché senza questi cristalli, questi gioielli di qualità dell’Italia, senza non lavorerebbero neppure le multinazionali del turismo. C’è un settore del turismo e della ristorazione che dà vita a tanti borghi e paesi che sono lo scheletro di Italia. L’anima». Lei cosa farebbe per non farli morire? «Chi è stipendiato dallo Stato, dai dottori ai professori universitari, quelli la paga a fine mese la prendono. Anche se c’è la pandemia i soldi li prendono lo stesso. Chi fa impresa nella ristorazione no, e con loro i dipendenti dei locali. Per non parlare della stupidità della burocrazia...». La burocrazia uccide i ristoranti? «Le racconto un’altra stronzata, quella dell’uso del computer per far studiare i figli a scuola. C’è una famiglia che per collegarsi con la maestra o la professoressa è andata nel suo ristorante, dal computer del locale, perché quello di casa non gli funzionava. Lo sa che loro per avere usato un computer di loro proprietà si son beccati la multa? Chi è che fa queste leggi? Hanno mai lavorato queste persone in una cucina, ad esempio? In una brigata di cucina di 18 cuochi, come fanno a stare tutti a un metro di distanza? Per non parlare poi di questa storia che se il cliente si prende il coronavirus dopo che è stato nel tuo ristorante rischi di finire sotto accusa». Ma lei riaprirà? «Nel ristorante "Il tuo Vissani", a piazza San Pantaleo, a Roma, da lunedì cominciamo a fare il delivery però è una piccola toppa, rispetto al lavoro che perdiamo, perché si lavora soprattuto il sabato e la domenica. E poi, diciamocela tutta: quanti sono in Italia quelli che ti pagano una cena 200 euro con il delivery? Io questa situazione in cui ci troviamo, con un eccesso di controlli rispetto ai tanti controlli che già i ristoratori subivano prima del Coronavirus, la trovo folle. Chi sono loro? Sono all’altezza di poter giudicare un ristorante? Dico basta. Mi sono stufato». Come se ne esce? «Per tutto il 2020 non devono far pagare le tasse, devono dare incentivi sui consumi, altrimenti vuol dire che sono matti. E poi finiamola con il fare le pubblicità legate al coronavirus, sull’Italia che si è fermata. Torniamo a parlare della vita! Questo bisogna far capire». Vissani, il suo pessimismo non ha fine? «Io non parlo per me, quanto potrà campare? Noi dobbiamo pensare alla vita, a quelli che verranno dopo di noi. Alla qualità, che è la forza del nostro paese e non ai consumi di quantità e globalizzati. All’ingrosso. Senza qualità. L’Italia ha la sua forza nei piccoli cristalli della ristorazione e del turismo, questa è passione. È cultura». Riaprirà lunedì il suo ristorante in Umbria? «In Umbria per il momento non apro perché non ci sono le condizioni con queste regole che stanno facendo». Neppure per il delivery? «E che consegno ai cinghiali? Io sono in mezzo alla campagna in Umbria. Vede, idee ne ho molte. Vorrei fare la pasta fatta in casa, ho tanti progetti. Prenda le lasagne, le ho portato l’altro giorno a mia sorella, si è innamorata di quei sapori. Ma ci dovete far lavorare. Noi con la cucina di qualità che abbiamo potremmo esportare in tutta Europa ma in Italia la burocrazia rende tutto difficile». Cosa dovrebbe dare Conte secondo lei per non far morire i locali di qualità d’Italia? «Vede, se io apro il locale al pubblico mi ci vogliono almeno 25mila euro. E se non faccio neppure un coperto chi me li paga? Io quando ho chiuso per il virus avevo 10mila euro di merce nel ristorante. L’ho regalata». Torniamo al Governo. Che fare? «Il Governo deve darci la possibilità di accedere alla banca, senza tassi di interesse, visto che i soldi non me li vuol fare avere a fondo perduto. Io non voglio aiuti dal Governo ma mettetemi almeno nelle condizioni di lavorare».