Camorra, sequestrata azienda bufalina da 2 milioni: era gestita dai fratelli del boss Michele Zagaria
L'azienda di allevamento di bufali e della produzione di latte crudo nelle mani dei fratelli del boss Michele Zagaria
Il Nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza di Napoli ha eseguito in località Grazzanise (Caserta) un provvedimento di sequestro preventivo emesso dal gip di Napoli su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia, di un'azienda operante nel settore dell'allevamento di bufali e della produzione di latte crudo, in quanto ritenuta nella diretta disponibilità dei fratelli del boss Michele Zagaria, Antonio e Carmine, e da essi utilizzata per favorire gli interessi economici del clan. I beni sequestrati hanno un valore di circa 2 milioni di euro. Secondo quanto emerso dalle indagini, svolte dal Gico di Napoli sotto la direzione della Procura distrettuale, l'azienda sarebbe stata impiegata dai fratelli Zagaria quale "schermo" per consentire alla loro famiglia di reimpossessarsi, in maniera occulta e fraudolenta, dell'azienda bufalina di proprietà della madre Raffaela Fontana, da tempo affidata alla gestione di un amministratore giudiziario in quanto già colpita da diverse misure giudiziarie. Alla realizzazione del disegno illecito avrebbero partecipato anche altri due fratelli, Antonio e Fernando Zagaria (solo omonimi in quanto non legati da vincoli di parentela al clan camorristico) i quali hanno messo a disposizione le loro aziende (dapprima Antonio e, successivamente, Fernando avendo il primo deciso nel frattempo di collaborare con la giustizia) per consentire al clan di proseguire nella gestione di un'attività economica particolarmente remunerativa e diffusa su quel territorio, nonostante lo spossessamento della storica azienda di famiglia. In particolare, dopo aver sostanzialmente esautorato dalle proprie funzioni l'amministratore giudiziario della ditta, a partire dal 2006 i fratelli Carmine e Antonio Zagaria hanno, di fatto, operato una vera e propria cogestione tra le citate aziende e quella intestata alla madre attraverso la coincidenza della sede legale e operativa e il conseguente utilizzo promiscuo di gran parte dei locali, degli impianti e degli animali già presenti all'interno dell'azienda sottoposta ad amministrazione giudiziaria; la commistione, anche sotto il profilo contabile, dei rapporti commerciali con l'unico fornitore (una società operante nel settore dei mangimi) e l'unico cliente (una società di produzione casearia) che risultavano comuni alle aziende contemporaneamente presenti nello stesso luogo di esercizio dell'attività; l'ampio ricorso all'interno di tali rapporti ad operazioni di sovra e sotto fatturazione in acquisto e/o in vendita, così da consentire la creazione di liquidità occulta che veniva sistematicamente sottratta dalle casse aziendali per essere messa a disposizione della famiglia Zagaria e, quindi, dell'omonimo clan. Il piano predisposto dal boss Zagaria, spiegano gli investigatori, ha consentito di neutralizzare per anni gli effetti delle misure cautelari reali e ablative gravanti sulla ditta per poi, addirittura, rientrare nella piena disponibilità della quasi totalità dei beni aziendali confiscati alla ditta stessa, mediante un acquisto all'asta a prezzo stracciato (100mila euro) per subentrare nell'attività. L'azienda sottoposta a sequestro, composta da diversi immobili e manufatti (abitazione adibita a appartamento per il custode, stalle, locali per la mungitura, depositi per i mangimi), attrezzature agricole e per la mungitura nonché circa 350 capi di bestiame, ha un valore stimato intorno ai 2 milioni di euro.