le pagelle (bruttine)
Bocciati gli esperti virologi che sono sempre in tv
Con l’epidemia da Covid-19 stiamo assistendo inermi a stravolgimenti della società impensabili, tra i quali quello per cui a governare i destini dell’umanità non sembra essere più la politica ma la scienza. Tra task-force e comitati tecnico-scientifici che spuntano ovunque, dall’inizio dell’emergenza sanitaria le scelte cruciali – e spesso squisitamente politiche – sono state demandate sempre di più a gruppi di esperti, scienziati e tecnici: i così detti «competenti». Ma quanto sono competenti questi «competenti»? Una domanda nient’affatto banale, visto e considerato che i cittadini di tutto il mondo – e quelli italiani soprattutto - in questi giorni stanno rinunciando a grandi porzioni dei propri diritti costituzionali proprio in virtù delle raccomandazioni di questi esperti, brattando alcune libertà fondamentali con la salvaguardia della salute. Di più: è la politica stessa ad essersi privata di pezzi della sua assoluta sovranità decisionale in cambio dei preziosi consigli della scienza, trasformando – si spera in modo provvisorio - la democrazia in una sorta di «scientocrazia». Ora, stabilire il valore e l’autorevolezza di uno scienziato non è affatto cosa semplice. Esiste però un parametro abbastanza affidabile, cui convenzionalmente ricorre la comunità scientifica per stabilire una gerarchia di merito: si chiama «h-index», un indicatore bibliometrico ottenuto facendo la media tra il numero di pubblicazioni scientifiche e il numero delle citazioni ricevute da un dato ricercatore. L’«h-index» è oggi il criterio in assoluto più utilizzato per questo tipo di valutazioni – sebbene non l’unico -, essendo un buon compromesso tra la quantità (pubblicazioni) e la qualità (citazioni) del lavoro di uno scienziato. Una specie di pedigree costruito in base alla carriera di un ricercatore, certamente perfettibile ma comunque affidabile. Nonostante, è il caso di ribadirlo, l’h-index non sia ovviamente l’unico criterio adottabile per stabilire il valore assoluto di uno scienziato. Ebbene, passando in rassegna gli h-index (presenti nel database di Scopus) degli esperti che hanno ricevuto più visibilità durante questa pandemia, ci siamo accorti che in Italia, in alcuni casi, questo parametro non sia esattamente di livello internazionale. Prendiamo come riferimento due tra gli indici più alti in assoluto, quello di Anthony Fauci, virologo della task force di Donald Trump, e quello di Didier Raoult, luminare francese della medicina e direttore dell’Istituto Malattie Infettive dell’Università di Marsiglia. I loro h-index sono rispettivamente 174 e 175. Nel comitato tecnico scientifico del Governo italiano, per fare un paragone, l’h-index di Giuseppe Ippolito, direttore dell’INMI dello Spallanzani, è 61 (abbastanza alto, sebbene non paragonabile a quelli appena citati); mentre quello del presidente dell’ISS Silvio Brusaferro, anche lui membro del CTS, è sensibilmente più basso, fermo a 21. Parliamo di esperti molto vicini al premier Conte e dunque in grado di influenzarne pesantemente le decisioni, come pare sia accaduto durante la preparazione della contestatissima «fase 2» dell’emergenza, plasmata sulla scorta del report stilato proprio dal CTS nominato dal Governo. Rimanendo nei paraggi di coloro che hanno rapporti diretti con Capi di Stato, l’immunologo francese Jean-François Delfraissy, guida del Comité d'Analyse Recherche Expertise e di casa all’Eliseo, può fregiarsi, per esempio, di un h-index di 73. Anche i tedeschi, naturalmente, hanno il proprio virologo di fiducia: si chiama Christian Drosten, ha un h-index di 73 e, anche se non ha ricevuto incarichi ufficiali dal governo di Berlino, è attualmente uno degli esperti più popolari e più ascoltati in Germania. E a proposito di popolarità, nessuno oggi in Italia è più popolare dei medici: alcuni di loro sono diventati dei veri e propri divi del piccolo schermo, dal quale dispensano ammonimenti urbi et orbi ad ogni ora del giorno, collezionando ospitate in ogni tipo di programma, persino in quelli sportivi. Niente di male, sia chiaro - ché un parere specialistico di questi tempi è sempre ben accetto -, ma vedendo gli h-index di alcuni di loro qualche dubbio in più potrebbe sorgere. Walter Ricciardi, super consulente dell’OMS, ha, per dire, un indice di 39; Ilaria Capua, virologa dell’Università della Florida con un passato in politica (nella fu Scelta Civica), ha un h-index di 48; Roberto Burioni, virologo e principale star del nuovo divismo scientifico, ha un h-index di 26; Maria Rita Gismondo (ultimamente molto pessimista) ha, infine, un h-index di 22. Numeri non esattamente altissimi, soprattutto se paragonati a quelli di altri esperti italiani molto meno popolari, come Alberto Mantovani (h-index 167, altissimo), Giuseppe Remuzzi (158) e Luciano Gattinoni (84), solo per citarne qualcuno. Insomma, la scienza non si può certo ridurre a una gara a chi ha il curriculum più lungo, ma se questi indici esistono, dovranno pur significare qualcosa. E gli italiani, il cui destino è oggi nelle mani di medici e scienziati molto più che in quelle dei propri rappresentanti politici, hanno il diritto di saperlo.