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Morire per il Coronavirus? Si decide tutto in 15 giorni. Ecco perché

Lo studio: tutto dipende dalla "quantità" di esposizione al virus e dalla risposta immunitaria. Che non dipende solo dall'età...

Carlantonio Solimene
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Due settimane per capire se si vivrà o si morirà a causa del Coronavirus. E' quanto emerge da uno studio elaborato da alcuni scienziati italiani e che coinvolge pure l'Istituto Superiore di Sanità. L'esito dell'infezione da Covid-19, infatti, si potrebbe definire già nei primi 10-15 giorni dal contagio. E può dipendere dall'esposizione virale, dalla debolezza immunitaria o da uno sforzo fisico intenso nei giorni dell'incubazione. Lo rivela il modello scientifico elaborato da tre ricercatori italiani e descritto nella pubblicazione a cura di Paolo Maria Matricardi (Charité Universitätsmedizin Berlino), Roberto Walter Dal Negro (National Centre of Pharmacoeconomics and Pharmacoepidemiology Verona) e Roberto Nisini (Reparto Immunologia, Istituto Superiore di Sanità) e proposto per la pubblicazione alla rivista "Pediatric Allergy and Immunology", dove è attualmente in fase di revisione. Lo studio è pubblicato come pre-print sul sito dell'Iss. Secondo il modello, l'esito dell'infezione si decide nelle prime 2 settimane dal contagio e dipende dal bilancio tra la dose cumulativa di esposizione virale e l'efficacia della risposta immunitaria innata locale. Le componenti attive sono gli anticorpi IgA e IgM naturali (che si trovano nella saliva e nelle secrezioni delle mucose delle vie aeree superiori). Il virus può superare questo primo round se: l'immunità innata è debole (questa condizione si realizza in molti anziani e nei soggetti privi di anticorpi per difetti genetici); l'esposizione cumulativa al virus è enorme (per esempio tra medici e operatori sanitari che hanno curato molti pazienti gravi senza le opportune protezioni). Oppure si compie un esercizio fisico intenso o prolungato, con elevatissimi flussi e volumi respiratori, proprio nei giorni di incubazione immediatamente precedenti l'esordio della malattia, facilitando così la penetrazione diretta del virus nelle vie aeree inferiori e negli alveoli, riducendo fortemente l'impatto sulle mucose delle vie aeree, coperte da anticorpi neutralizzanti. Se Sars-CoV-2 supera il blocco della immunità innata e si diffonde dalle vie aeree superiori agli alveoli già nelle prime fasi dell'infezione, «allora può replicarsi senza resistenza locale, causando polmonite e rilasciando elevate quantità di antigeni», spiegano i ricercatori. La successiva risposta immunitaria adattativa è ritardata, intensa con anticorpi IgA, IgM e IgG ad alta affinità, ma non necessariamente diretta verso gli antigeni neutralizzanti e, incontrando grandi quantità di virus nel frattempo già replicato in moltissime copie, provoca grave infiammazione e innesca cascate di mediatori (complemento, coagulazione e tempesta di citochine) che portano a complicazioni che spesso richiedono terapia intensiva e, in alcuni pazienti, causano il decesso. Il modello «potrà contribuire a meglio orientare provvedimenti mirati alla gestione della seconda fase della pandemia nel nostro Paese e a stimolare la ricerca traslazionale e clinica». Tre ricercatori italiani hanno elaborato, sulla base delle evidenze scientifiche pubblicate fino ad oggi, il primo modello scientifico che spiega in modo coerente e unificante l'enorme diversità delle manifestazioni cliniche della Covid-19, che variano dalle forme asintomatiche alla morte, sottolinea l'Iss. «Il modello è di per sé un importante passo avanti nella lotta al virus, perché mette insieme tutte le tessere di un enorme puzzle e offre ai medici, ai ricercatori, ma anche agli amministratori il primo "navigatore" per meglio orientarsi nella prevenzione, diagnosi, sorveglianza e provvedimenti di salute pubblica». 

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