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Coronavirus, il ristoratore: "Aprire con un terzo dei coperti? Il governo copra gli incassi mancanti"

Paolo Bianchini, ristoratore di Viterbo

Parla Paolo Bianchini, ristoratore di Viterbo: "A queste condizioni ci rifiutiamo di ripartire"

Massimiliano Lenzi
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Ora basta, il governo deve parlare chiaro. Ne ha il dovere, morale prima ancora che politico. Il 28 aprile alle ore 21 tantissimi ristoranti, bar, pizzerie, in tutte le città ed i paesi d'Italia tireranno su le loro saracinesche ed accenderanno le luci dei loro locali. Per ricordare a Giuseppe Conte, al Governo, alla politica che esistono, che migliaia di famiglie lavorano nei ristoranti, nei bar, nelle pizzerie e che l'incertezza piano piano sta uccidendo molte attività commerciali. A spiegare l'iniziativa a Il Tempo è il suo promotore, Paolo Bianchini, proprietario della “Osteria del vecchio orologio”, a Viterbo. Bianchini, il nome è ambizioso: risorgiamo Italia. Di che si tratta? “Una manifestazione nazionale, tutti insieme, il 28 aprile alle 21. Da una mia proposta, partita sul nostro gruppo Facebook, Horeca unita (Horeca è un acronimo che sta per Hotellerie-Restaurant-Café), un gruppo trasversale che ha dentro gente di Milano, di Como, di Alghero, di Napoli, di Firenze, di Bari, tutti contatti miei maturati in 17 anni di duro lavoro. E la sfida si è allargata ed estesa in pochi giorni. C'è lo chef stellato Igles Corelli, c'è Vitantonio Lombardo, altro chef stellato, di Matera. David Ranucci, di Milano, che ha 84 dipendenti. Un mondo di gente della ristorazione, che produce, che sono amici. La cosa è cresciuta ed è diventata una proposta a livello nazionale. Noi in questo momento stiamo lavorando per fare anche l'evento Facebook e rendere nota questa iniziativa. Perché a questo punto la proposta non è più mia, nostra, ma di un intero movimento nazionale della ristorazione, di tutti noi. Di un intero settore produttivo. C'è il Movimento impresa, della Puglia, il Gruppo dei ristoratori toscani di Pasquale Naccari, i pizzaioli napoletani di GPN (Gruppo piccola Napoli), di Paco Linus, solo loro hanno circa 60mila iscritti”. Cosa volete fare? “Noi vogliamo aprire in sicurezza ma anche in tranquillità. Il governo non può scaricare su di noi la riapertura per risparmiare qualche milione di euro di cassa integrazione”. Che, andando al sodo, sarebbe? “Se noi dobbiamo aprire con il 30% di potenzialità, per i vari problemi legati al distanziamento sociale, noi andremo a morire. Chi faceva 100 coperti ne farà 30. E le nostre attività  abituate a fatturare mille con costi per mille non possono certo oggi fatturare 300 con costi per mille.  Noi, così facendo, il 18 maggio o quando sarà, non apriamo”. Sta dicendo che il governo vi ha chiuso e abbandonato? “I miei dipendenti hanno avuto un anticipo di stipendio che gli ho dato io perché la cassa integrazione, e siamo a quasi due mesi dalla chiusura, non è ancora arrivata. Non hanno ancora preso un euro. E le persone che lavorano con me sono la mia famiglia, io ho una figlia di 14 anni ma passo più tempo con il mio cuoco, il mio cameriere e con il mio lavapiatti. Se il governo mi dice che dovrò aprire con il 30% di potenzialità, il 70% me lo dovrà coprire. Altrimenti noi non apriamo. E soprattutto devono slittare tutte le scadenze fiscali dell'anno 2020 perché se io devo pagare a giugno le tasse sul 2019 ma chi me li dà tutti questi soldi?”. Cosa farete il 28 aprile, oltre ad aprire le saracinesche ed accendere i vostri locali? “Noi il 28 aprile apriremo le nostre serrande ed il giorno dopo, il 29 aprile, andremo dai nostri sindaci a consegnare le chiavi delle nostre attività per recapitarle a Giuseppe Conte. Chiediamo ai nostri sindaci di stare al nostro fianco e di aiutarci in questa battaglia”.               

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