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Coronavirus, tutto e il contrario di tutto. Con chi ce l'ha Michele Santoro

Le star della Rete fanno così: dicono tutto e il contrario di tutto a giorni alterni

Silvia Sfregola
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Il giornalista Michele Santoro firma un lungo intervento sul sito ufficiale del vignettista Vauro Senesi che ne sottoscrive i contenuti nel titolo "Coronadelirius. La febbre sociale" e fa a pezzi le star della Rete. "Vedo cose che come umano non potevo immaginare. Uno che un mese fa ci invitava a non “fare la puttanata di chiudere i teatri” invita a vergognarsi chi vorrebbe gradualmente riaprire fabbriche e scuole. Naturalmente si scusa per prima: “Come tanti altri, non avevo capito”. Ma diceva pure “il coronavirus non è un tumore maligno che si passa dandosi la mano”. Di quello non si è scusato con gli ammalati di tumore. Le star della Rete fanno così: dicono tutto e il contrario di tutto a giorni alterni. Vanno dove li porta la maggioranza. Ora che la stragrande maggioranza è contro Renzi, loro lanciano cibo alle iene che sono pronte a sbranarlo nell'arena. Erano con Grillo “non per dargli ragione ma perché chi informa è naturalmente collocato all'opposizione”. Ora difendono il governo “perché è venuto sulle nostre posizioni”. Se ti azzardi a dire che il Presidente del Consiglio fa qualche errore “sei uno che cerca visibilità”. Anche se tu vivi nell'ombra e loro vanno a dormire con una telecamera accesa. Se osservi compiaciuto che Conte ha sentito il bisogno in un momento difficile di rinunciare a quella ridicola pochette, sei un irresponsabile che non parla di cose serie. Poi li vedi descrivere i loro avversari “in sovrappeso, esteticamente impresentabili, bassi, coi capelli tinti “ e - se parlano - che balle!”. Ne sanno sempre una più del diavolo. Fra poco ci spiegheranno che “è tornata la Mafia”, una roba che nessuno sa più cos'è. C'è un popolo sommerso di ladri, scippatori, spacciatori ma anche di tantissima gente che il pane se lo guadagna come può: i bancarellari senza licenza, i posteggiatori abusivi, quelli che vivono vendendo fazzoletti e calzini; e l'esercito che lavora a nero per la moda, gli stagionali della campagna, i trasportatori illegali di rifiuti industriali, i camerieri, i baristi e chi più ne ha più ne metta. Questo popolo lo abbiamo chiuso in casa con la promessa che “tutto andrà bene” e “aiuteremo tutti”. Adesso che hanno compreso che non si tratta di due settimane, cominciano a rumoreggiare e minacciano di andare all'assalto dei supermercati con i forconi. Gli scienziati, quelli dell'economia, si meravigliano e si chiedono in quale parte del Pil si siano nascosti tanti di loro. La risposta è facile: in quello illegale, compreso il mercato della droga. Lo stato sociale criminale che consente a tante periferie, non solo al sud, di non esplodere. Da queste parti è difficile tracciare un confine tra gente che lavora illegalmente e delinquenti. Sono accomunati dall'essere completamente dimenticati dallo Stato che, tranne il tanto criticato reddito di cittadinanza, non ha fatto niente per loro. C'è un dedalo illegale che abbiamo contribuito a far nascere ai margini della nostra vita di benpensanti che consumano cocaina e pomodori freschi senza farsi troppe domande. Il coronavirus può essere l'occasione per provare a entrarci dentro. Col permesso degli spiritosi picchiatori dell'IO RESTO A CASA, ovviamente. Il governo ci sta provando. Ha dato quattrocento milioni di euro ai comuni per distribuirli ai più affamati. Ma non vorrei che i sindaci venissero circondati da masse urlanti mentre non sanno a chi dare questi spiccioli. Quando la gente che muore di fame, uscirà dalle case per farsi sentire, la maggioranza cambierà di nuovo parere e mi troverò davanti il solito tipo: “Brutto panzone senza cervello! Renziano di merda! Sciacallo! Te l' avevo detto che la gente non poteva stare chiusa in casa tutta la vita?”. Purtroppo non sono più in televisione. Altrimenti saprei come difendermi, userei la parola magica. Che è anche la ricetta di Urbano Cairo, editore de “La Sette” e del “Corriere” per superare il momento difficile: Pubblicità!".

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