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Noi, ragazzi dello zoo del coronavirus

I risultati dei tamponi di massa in Corea del Sud indicano la categoria tra i 20 e i 29 anni come la principale vettrice del Coronavirus

Maria Sole Sanasi
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I risultati dei tamponi di massa in Corea del Sud indicano la categoria tra i 20 e i 29 anni come la principale vettrice del coronavirus; quella dei più infetti, degli iperattivi ed asintomatici: quella dei giovani. Tesi, questa sostenuta dall'epidemiologo della Harvard University Eric Feigl-Ding, che pare trovare conferma anche nel primo epicentro dell'epidemia di Covid-19 in Veneto, Vo' Euganeo. Ecco allora un incredibile ribaltamento! L'”invincibile” gioventù, esaltata e pubblicizzata in tutti i media, non solo perde i suoi tratti distintivi di bellezza e potenza, ma si trasforma addirittura in fattore nocivo per se stessa e per gli anziani. Insieme al crollo, rumoroso almeno quanto la scalata del suo Ego, di quel caduco senso di invulnerabilità che le sembrava proprio, la giovinezza sembra perdere anche quella illusione del “ etiamsi omnes, ego non (Se tutti, io no)”. L'Ego ( sono Giovane e perciò sono) si fa sempre più debole e lascia il posto a un inquieto Noi, a un desiderio di aggregazione, tanto più forte quanto più pesante è la situazione di isolamento cui siamo oggi costretti. Alla stretta di un abbraccio impariamo a sostituire la forza di questo sentire comune, solidale. Un Noi che non è il contrario di Io, ma più sommessamente, e più autenticamente,  promessa di rinnovamento collettivo. Perché tra noi giovani, tra i millennials, in questa così tristemente straordinaria circostanza nessuno è escluso. Questa volta a creare divari non ci saranno abiti diversi, volti puliti o sporchi, facce di differenti nazionalità. Si azzera la condizione sociale, intellettuale, fisica. E non è buonismo, è realtà, nella sua inalterata crudezza. Noi ragazzi non dobbiamo, e purtroppo non possiamo tirarci fuori da questo scioccante contesto; e forse per la prima volta non siamo né ci sentiamo unici o invincibili: come Fabrizio, il 32enne di Nova Milanese deceduto il 18 marzo che aveva precedentemente contratto un'infezione a Cuba. E come lui la 27enne di Pesaro mancata il 19 marzo, seppure con precedenti gravi patologie pregresse acuite dal Covid-19. Ed anche Nicola, il ciclista bergamasco 28enne che si è accasciato sul volante della sua auto il 14 marzo scorso. Notizie tanto lontane dai nostri pensieri e paradossalmente così vicine a tutti noi ragazzi del 2020; rinchiusi per scelta, per coscienza e per dovere verso il nostro prossimo in ‘gabbie' sicure come le nostre case - accoglienti o meno - e tutti in un unico zoo: quello del Coronavirus. Tra gli appelli disperati dei medici che non riescono più a far fronte  all'esponenziale aumento di contagi, costretti a ricercare  medici in pensione volontari, pronti a tornare  al lavoro per offrire il loro aiuto – a  tutti, anche a noi generazione Y è dato essere eroi, solo per un giorno (We can be heroes, just for one day) come cantava David Bowie in un altro e ben diverso ‘zoo' (quello di Christiane F. - Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, 1981). Situazione diverse, ma i loro confini quasi dileguano nello spaesamento generale. Sarà proprio per questo che utilizziamo il termine di  spaesato per indicare una condizione di disorientamento  personale e al contempo collettiva; come scriveva Calvino: «Non tardo ad avvertire un senso di solitudine e di spaesamento». E lo avvertiamo tutti, chiedendoci come e quando uscirne e ritornare nel nostro ideale e pure concreto Paese; quando tornare a poterlo vivere e toccare, a respirarlo? Come poter pensare che ritornare alla vita voglia dire uscire fuori e ritrovarla uguale a prima? Forse è proprio questa la più bizzarra contraddizione che da sempre ci attraversa e riesce comunque a stupirci: cambiare, restando fermi – e, mai come in questo caso – dover crescere restando giovani.

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