La rivoluzione che aliena i giovani
Il bilancio a 13 anni dall'invenzione di Steve Jobs: il 25% dei ragazzi trascorre 4 ore al giorno con il cellulare in mano. Il commento dell'esperto dell'Università Telematica San Raffaele Piero Barbanti
Una rivoluzione compiuta, inarrestabile e in continuo divenire quella generata dalla lucida intuizione e lungimiranza di Steve Jobs che il 9 gennaio di 13 anni fa presentò al folto pubblico del Mac World Conference di San Francisco la sua creazione-innovazione, sovvertendo l'idea di telefono in una portata certo non configurabile nel 2007. Non era prevedibile la pervasività con la quale l'uso del telefono mobile ha colonizzato ogni accesso all'informazione, consentendo agli utenti una perenne connessione, unita alla possibilità di essere raggiunti e aggiornati ovunque dal flusso comunicativo, senza soluzione di continuità. L'uso totalizzante del mezzo tecnologico iPhone, sempre più perfezionato e ancora perfezionabile, ha prodotto immediate ripercussioni rintracciabili nella modalità interattiva, comunicativa, esistenziale di ciascuno di noi, privilegiando una virtualità di rapporti a discapito del contatto reale e dell'esercizio dell'affettività che da questo scaturisce. Nei modelli più recenti di iPhone, la presenza di algoritmi, che prevedono l'interazione dell'utente con forme di intelligenza artificiale, privano il soggetto della possibilità di sovraintendere personalmente alle funzioni proprie del mezzo, la percezione di essere controllati in ogni video, in ogni foto, in ogni messaggio, acquista sempre più consistenza. Diversamente da quel che si può pensare, l'abuso di Internet non facilita la vita, ciò è vero tanto più se riferito alla generazione digitale dei giovani che non hanno conosciuto il mondo prima dell'avvento della Rete, testimoni di un'alfabetizzazione primaria informata alla pratica tecnologia pervasiva, che neutralizza la spinta e la motivazione individuale alla conoscenza. Parlano esplicitamente di ansia, solitudine e sensazione di isolamento in una «bolla digitale» degli universitari, i risultati di una ricerca su 285 studenti di corsi di laurea di carattere sanitario, effettuata di recente dall'Università Statale di Milano e dalla britannica Swansea University, pubblicati sul «Journal of Computer Assisted Learning». Un giovane su quattro aliena il suo tempo online per quattro ore al giorno, il resto del campione da un'ora a tre al giorno. È innegabile la trasformazione da strumento a fine del «navigare digitale», lo fa notare il professor Piero Barbanti, titolare della cattedra di Neurologia e Sport all'Università Telematica San Raffaele di Roma. Non è senza conseguenze il trascorrere più tempo sui social a danno della ricerca individuale di notizie e informazioni, ma è possibile dare una spiegazione scientifica di ciò che è alla base di simili comportamenti. La seduzione dell'immagine ha un impatto diretto sul sistema nervoso centrale molto più forte rispetto a una prassi che privilegia i concetti, perché va a soddisfare quella parte istintiva che è in noi, offrendoci immagini senza soluzione di continuità, riducendo però il principio di immaginazione e la creatività individuale. Essere dipendenti dalla tecnologia, dunque, riduce la parte cerebrale razionale che richiede lentezza, di contro favorisce quella parte istintuale che agisce velocemente, ma non produce evoluzione. Il processo è irreversibile, non si può arrestare, tuttavia è auspicabile un uso diverso del tempo non virtuale, preservando nella quotidianità un approccio immaginifico che richiama, in qualche modo, lo stupore legato all'infanzia, la capacità di sviluppare visioni di quel che apprendiamo, e non di assumere passivamente contenuti indotti a cui apporre un «like», sempre più spesso espressione di un dominio che automatizza i nostri comportamenti.