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Dal Milan al Monza. Ma Silvio è in testa

La serie A è un ricordo. I trionfi politici pure. Lo spirito resta lo stesso

Carlantonio Solimene
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«Non potete evitare di invecchiare, ma non dovete per forza diventare vecchi». Lo diceva George Burns, attore e comico statunitense. Uno che sul tema doveva saperla lunga, visto che si spense alla tenera età di 100 anni e 40giorni. Intendeva, Burns, che all'inevitabile decadimento del corpo non si deve necessariamente lasciar affiancare quello dello spirito. Facile a dirsi, ma evidentemente molto più complicato da mettere in pratica. Eppure, a ben vedere, è stato proprio questo il «mood» degli ultimi anni della parabola umana di Silvio Berlusconi. Che vecchio, dal punto di vista anagrafico, lo è senz'altro, dall'alto delle sue 83 primavere. Ma ha in fondo conservato quello spirito guascone e sempre alla ricerca di nuove sfide che ne ha determinato la scalata, nell'imprenditoria come nellapolitica. E, naturalmente, nellosport. È notizia di questi giorni, infatti, la «fuga» del Monza di Berlusconi & Galliani nel girone A della serie C di calcio. Quando il campionato ha accumulato già undici giornate, i brianzoli affidati alla guida dell'ex gloria rossonera Cristian Brocchi (anche se, a proposito di amarcord, Silvio aveva provato ad arruolare addirittura Arrigo Sacchi) viaggiano a vele spiegate verso la promozione in B. Ventotto punti, sette in più della seconda in classifica, quel Renate con il quale si confronteranno stasera in un anticipo che potrebbe già mettere la parola fine sul campionato. Numeri da sogno, quelli del Monza: venti gol fatti e appena cinque subiti, miglior attacco e miglior difesa del girone. Certo, sono lontani i tempi di Gullit, VanBasten, Weah, Maldini e Kaka. Oggi gli eroi del giorno si chiamano Mattia Finotto, capocannoniere della squadra con tre reti, o l'insuperabile portiere Eugenio Lamanna. Gente che il grande calcio l'ha solo sfiorato, insomma. Eppure, osservando le foto di Berlusconi e Galliani sulle tribune del Brianteo (con il Cav che stringe una pila di fogli sulla quale prende appunti sulle varie situazioni di gioco), si può meglio comprendere anche le ultime scelte politiche del leader di Forza Italia. Può un uomo che ha vinto Champions, coppe Intercontinentali, scudetti e quant'altro, emozionarsi per lo striminzito 1-0 rifilato all'Albinoleffe? E può il politico che detiene il record di giorni a Palazzo Chigi (3.339, quasi 700 più di Andreotti), saltellare felice come un bambino a piazza San Giovanni, nonostante la giornata serva a certificare che il centrodestra ha ormai un altro leader, Salvini? Evidentemente sì, può. E il motivo della longevità politica non è, come magari qualcuno si ostina a pensare, la necessità di restare in campo per tutelare i propri interessi. Ma lo stesso spirito che ha spinto il Cav a d acquistare il Monza dopo la «crisi di astinenza» dovuta all'addio al suo Milan. La necessità di rimettersi in gioco, il gusto della competizione. E anche, perché no, la paura di andare in «pensione». Una tendenza che, nell'Italia della gerontocrazia, non è certamente ascrivibile al solo Silvio. Gli inizi al Monza, in verità, non sono stati dei più brillanti. E forse un presidente meno determinato avrebbe passato subito la mano. Il primo anno è stato di assestamento, e qualcuno ha sorriso delle prime lunari conferenze stampa del Cavaliere da proprietario dei brianzoli. Come quella in cui ha detto che non avrebbe mai preso per la sua squadra calciatori tatuati o capelloni. Scene che, insomma, facevano tornare in mente gli ultimi imbarazzanti momenti dell'epopea rossonera, come quando "costrinse" un imbarazzatissimo mister Filippo Inzaghi a gridare "attaccare!" ai calciatori, con gli esiti che tutti ricordano. D'altronde in attacco non c'erano più Shevchenko o Papin, ma gente come Menez, Cerci e Honda. Anche se c'è da ritenere che, dopo i disastri delle gestioni cinese e americana, tra i tifosi del Diavolo ce ne siano non pochi disposti a rimpiangere persino quel Milan scalcinato. Da tempo, ormai, il binomio vincente calcio-politica si era spezzato: «Sapete qual è stata la perdita maggiore di Fi come numero di votanti? La vendita del Milan» ha scherzato ieri il Cavaliere in Umbria. «Ora tutti chiedono: e il Milan? Quando lo ricompri? Ma adesso bisogna tutti tifare Monza». Sì, perché dopo le difficoltà iniziali pian piano le cose si sono aggiustate. Con una campagna acquisti da 12 colpi «pesanti» (più un'altra quindicina realizzati nel gennaio precedente) Berlusconi e Galliani hanno messo in mano a Brocchi una corazzata che fin dall'inizio del campionato ha mantenuto le promesse. Senza rinunciare, peraltro, ai dogmi del Cavaliere. Una squadra votata all'attacco, «made in Italy» e, soprattutto, "composta da bravi ragazzi". Al punto che l'allenatore si è spinto a dire che uno come Nainggolan - tutto genio, sregolatezza e tatuaggi - "da noi non giocherebbe". L'obiettivo, ha detto Berlusconi, è la serie A in tre anni. Che significherebbe, ça va sans dire, derby con il Milan. Non sarà facile, certo, ma ad oggi è più semplice immaginare per il Cavaliere una resurrezione sportiva piuttosto che una politica. Comunque andrà, alla fine più del risultato conterà quello che c'è stato in mezzo. La passione, la sfida, il divertimento. Perché? Lo insegna ancora una volta il già citato Burns. "Come sei arrivato a 90 anni fumando sempre venti sigari al giorno?" gli chiesero. E lui: "A una certa età è meglio essere regolari...!". In questo caso, la regolarità sta nel provare a vincere. Sempre. E in ogni categoria.

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