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I miei figli hanno distrutto Repubblica

Troppo bassa la mia offerta per il 30% di quell'azienda? Me l'hanno ridotta loro a quel prezzo: non capiscono di editoria. Io sì, e la salverò

Filippo Caleri
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Carlo De Benedetti non molla. A un passo dagli 85 anni non molla il suo assalto per rimettersi al comando del gruppo editoriale Gedi, che edita la Repubblica, la Stampa, il Secolo XIX e L'Espresso. La richiesta di ricomprare dai figli (ai quali aveva ceduto le quote sette anni fa) il 29,9% della Gedi con un'offerta resa pubblica domenica scorsa non era come apparso ai più una provocazione. Al contrario l'Ingegnere è convinto di rientrare in partita. E per ribadirlo ha dato un'intervista proprio al principale concorrente di Gedi, il Corriere della Sera. Ad Aldo Cazzullo ha detto: «Sono in condizioni di condurre in porto un'operazione in due tempi. Il primo: raddrizzare la gestione dell'azienda, che è stata del tutto inefficace». Poi ha indicato la soluzione: «Riprendere a investire pesantemente in un settore in cui Repubblica per anni ha eccelso: il digitale. Poi verrà il secondo tempo. Una volta che l'azienda sarà in condizione di navigare, pur sapendo che i mari resteranno procellosi, dobbiamo trovare un approdo», cioè «portare le mie azioni, convincendo gli altri azionisti a fare altrettanto, in una Fondazione cui parteciperanno rappresentanti dei giornalisti, dirigenti del gruppo, personalità della cultura. L'obiettivo è assicurare un futuro di indipendenza a un pezzo di storia italiana». Secondo De Benedetti «il gruppo Espresso ha avuto in Italia un ruolo fondamentale. Merita di essere conservato e gestito. Sono felice di poter dedicare due, tre anni del mio tempo e della mia vita a rimettere in sesto un'azienda sconquassata e non gestita. So anche quali sono i limiti di una persona di 85 anni: da qui lo sbocco di una Fondazione». Fin qui il futuro che immagina per il gruppo ma non sono state risparmiate critiche alla gestione della società da parte dei figli: «Sanno fare bene altri mestieri. Ma non hanno la passione per fare gli editori. Non hanno neanche la competenza; ma prima di tutto non hanno la passione. La grande ingenuità dei miei figli è continuare da tempo a cercare un compratore per il gruppo. Una ricerca inutile: in Italia un compratore non c'è». A chi l'ha definita un'offerta dimostrativa, De Benedetti ha replicato: «Intanto gli azionisti Cir dovrebbero ringraziarmi per questo regalo piuttosto consistente: la mia offerta ha fatto aumentare il valore in Borsa del titolo di oltre il 15%. Un contributo più rilevante di quello che ha dato l'attuale gestione. Il mercato ha dimostrato che l'azienda, se gestita non dai miei figli, vale di più. Gestita dai miei figli, l'azienda vale 23 centesimi ad azione. La pago al prezzo cui hanno ridotto l'azienda. Perché dovrei pagarla di più? E poi non compro tutto, ma il 30 per cento. Non è questione di soldi, non voglio fare un affare. Le ripeto che dopo il rilancio intendo regalare le azioni a una Fondazione». Fin qui il progetto. Sul quale però i giornalisti hanno manifestato qualche timore. Quelli de L'Espresso hanno «espresso preoccupazione per le recenti vicende che riguardano il Gruppo Gedi». Lo stesso quelli de La Stampa secondo i quali «le notizie di eventuali operazioni sul capitale del gruppo non fanno che creare ulteriore incertezza e distrarre la società e i suoi manager dai loro compiti in una fase in cui le difficoltà di mercato chiamano il gruppo, in primis gli attuali azionisti, a nuove responsabilità e a iniziative coraggiose e non estemporanee per sfidare il declino del mercato».

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