IL CONFLITTO IN SIRIA
Di Maio: "Bloccheremo invio armi in Turchia"Da Ankara: "È uno scherzo"
«Nelle prossime ora anche l’Italia firmerà, con un decreto ministeriale, l’export degli armamenti verso la Turchia, per quanto riguarda il futuro dei prossimi contratti e dei prossimi impegni». Lo dice, in un doorstep per la stampa italiana a margine del Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, prima di ripartire per Roma. «Era importante per noi - continua Di Maio - che tutta l’Europa assumesse la stessa posizione: abbiamo lasciato ai singoli Stati l’impegno di farlo, perché questo crea immediatezza. Ognuno di noi, dopo questo impegno, potrà firmare i propri atti, che servono a bloccare l’export e, ovviamente, questo fa sì che non si debba lavorare ad un embargo europeo, che poi porta a mesi e mesi di lavoro, che avrebbero vanificato l’immediatezza dell’intervento». «Non serve che vada in Parlamento - prosegue il ministro - è un atto di secondo livello, un decreto ministeriale. Domani sarò alla Camera per dare tutte le informazioni che servono al Parlamento e spiegherò i dettagli di questo intervento di blocco dell’export di armamenti verso la Turchia». Il decreto non dovrebbe riguardare le commesse già in essere, ma solo quelle future: «È ovvio che riguarda quello che succede da domani in poi», risponde il ministro. Immediate le reazioni in Turchia. Il quotidiano filogovernativo Sabah scrive a chiare lettere che gli ultimi annunci «non hanno alcun impatto o hanno ripercussioni molto limitate sulle capacità della difesa e sulle scorte dei militari turchi». Da Ankara per Arab News la giornalista Menekse Tokyay si chiede: «Il blocco europeo sulle armi avrà un impatto sull’operazione della Turchia in Siria?». L’ambasciatore turco presso le Nazioni Unite a Ginevra, Sadik Arslan, ha bollato tutto come uno «scherzo». Sabah non lascia il lettore senza spiegazioni. «L’industria della difesa della Turchia ha fatto progressi considerevoli nella riduzione della sua dipendenza da prodotti stranieri - si legge sul giornale - Lo sviluppo dell’industria della difesa ha garantito il successo delle operazioni antiterrorismo della Turchia sia in patria che all’estero, in particolare nel nord dell’Iraq e in Siria, senza dover contare su prodotti di importazione». Tra il 2009 e il 2018 la spesa militare della Turchia è cresciuta del 65% e, scrive il quotidiano, ha raggiunto i 19 miliardi di dollari. Una domanda è cruciale: in ballo ci sono solo le nuove commesse o anche gli ordini in essere? Secondo Di Maio, il blocco «riguarda quello che succede da domani in poi». E sembra esclusa la possibilità di un embargo europeo: mentre si attende il Consiglio europeo di giovedì e venerdì prossimi, i Paesi membri si muovono da soli. Il titolare della Farnesina ha annunciato l’imminente firma di un decreto ministeriale, Germania, Francia Olanda, Norvegia e Finlandia hanno decretato lo stop alla fornitura di armamenti. «L’impatto delle sanzioni sulle armi da parte degli Stati membri dell’Ue dipende dal livello delle scorte della Turchia», ha detto ad Arab News il ricercatore Caglar Kurc, esperto di difesa, convinto che Ankara avesse previsto la possibilità di sanzioni e che abbia quindi pianificato tutto in modo da evitare ripercussioni per l’operazione militare in Siria. E «fin quando la Turchia» non avrà problemi per le operazioni militari nel nord della Siria, Ankara - ha detto Kurc - «non cambierà le sue decisioni». Per Sinan Ulgen, presidente del think tank di Istanbul Edam e visiting scholar presso Carnegie Europe, gli annunci che arrivano dall’Europa servono più a fini interni che ad altro: l’embargo sulle armi, ha sostenuto citato da Arab News, non avrà infatti ripercussioni sul lungo periodo principalmente perché molte delle sanzioni sono limitate ai materiali che possono essere usati dalla Turchia in operazioni oltreconfine. «L’embargo non riguarda tutti gli aspetti del commercio di armamenti tra la Turchia e l’Ue - ha detto - Queste misure sembrano essenzialmente pensate per dimostrare alla loro opinione pubblica che i loro governi stanno facendo qualcosa davanti a quello che considerano come un comportamento negativo da parte della Turchia». La Turchia, ha concluso Kurc, sarebbe costretta a spostarsi su «fornitori alternativi» solo se le sanzioni fossero più estese e non riguardassero esclusivamente l’operazione in Siria. Russia e Cina sarebbero, secondo l’esperto, «i candidati più papabili» a prendere il posto dei fornitori europei. Di fondo sembra che l’unico rischio concreto sia un nuovo inasprimento delle sempre difficili relazioni tra Ankara e l’Ue.