vaticano
I monsignori con il vizio del mattone
Più che contribuire alla «cura della casa comune», come auspicato da Papa Francesco nella Lettera Enciclica «Laudato sì», i soldi raccolti nelle casse dell’Istituto per le opere di religione sono finiti oltremanica per finanziare un’operazione immobiliare da oltre 200 milioni di euro: l’acquisto di un palazzo alla periferia di Londra, gravato da ipoteche, il cui utilizzo resta un dilemma. È questo il fulcro dell’inchiesta «esplosiva» condotta dall’autorità giudiziaria della Santa Sede - con il beneplacito di Bergoglio - che martedì mattina ha fatto scattare le perquisizioni in alcuni uffici nevralgici della Città Leonina. I gendarmi hanno sequestrato documenti e pc per far luce sui finanziamenti milionari avallati dall’autorità di vigilanza Aif - che non ha espletato il suo compito di controllo - e dalla Segreteria di Stato (corrispondente al ministero degli Interni), il dicastero della Curia che collabora più da vicino con il Papa e che da agosto 2018 è guidato dall’arcivescovo venezuelano Edgar Peña Parra. Prima di lui, come sostituto per gli Affari Generali, c’era il cardinale Giovanni Angelo Becciu, nominato in quel ruolo da Benedetto XVI il 10 maggio 2011 e diventato pochi mesi fa prefetto per la Congregazione delle Cause dei Santi. Nel mirino del Promotore di Giustizia del Tribunale vaticano, Gian Piero Milano, sono finite una decina di persone, compreso Peña Parra. Cinque indagati sono stati «sospesi cautelativamente dal servizio». Si tratta del direttore dell’Autorità di Informazione Finanziaria Tommaso di Ruzza e di quattro dirigenti apicali della Segreteria di Stato: il capo ufficio Informazione e Documentazione monsignor Mauro Carlino, il minutante dell’ufficio Protocollo Vincenzo Mauriello, il minutante dell’ufficio Amministrativo Fabrizio Tirabassi e l’addetta all'amministrazione Caterina Sansone. «I suddetti - si legge nella nota firmata dal capo della Gendarmeria vaticana Domenico Giani - potranno accedere nello Stato esclusivamente per recarsi presso la Direzione Sanità ed Igiene per i servizi connessi, ovvero se autorizzati dalla magistratura vaticana». Invece, «Monsignor Mauro Carlino continuerà a risiedere presso la Domus Sanctae Marthae», la stessa residenza dove abita Papa Francesco. L’inchiesta giudiziaria è partita sulla base delle denunce presentate «agli inizi dell’estate scorsa dall’Istituto per le opere di religione e dall’ufficio del Revisore generale, riguardanti operazioni finanziarie compiute nel tempo», spiega un bollettino della Sala stampa della Santa Sede. Queste operazioni finanziarie si sono concentrate a Londra ed erano finalizzate all’acquisto di un immobile alla periferia della City, la cui proprietà risultava «schermata» al momento della compravendita. Solo grazie ad alcuni accertamenti investigativi, si è scoperto che il proprietario del complesso edilizio è un imprenditore italiano. I dubbi sulla legalità di questo investimento sono tanti. Cosa se ne fa il Vaticano di uno stabile ai margini della capitale del Regno Unito, uno Stato in cui la Chiesa anglicana è considerata culto ufficiale? Come si fa a definirlo un investimento «coerente con l’etica cattolica», che secondo Bergoglio dovrebbe fungere da linea guida della «sua» Banca? E soprattutto, come mai l’Autorità di Informazione Finanziaria - l’organismo con funzioni di controllo anti-riciclaggio e anti-corruzione sull’operato dello Ior, creato da Benedetto XVI e consolidato nel 2013 da Francesco - non ha bloccato questa operazione che persino un bambino avrebbe giudicato come sospetta? Ma c’è di più. Pur di realizzare quello che tutto sembra tranne che un affare, gli indagati hanno fatto in modo di superare anche il peso delle ipoteche che gravavano sull’immobile. Tutto ciò rivolgendosi a uno studio legale londinese, a suon di consulenze da centinaia di migliaia di euro. Le parcelle pagate con i soldi dello Ior, infatti, sono totalmente fuori mercato. Anche su questo dovranno concentrarsi le indagini dei gendarmi guidati da Giani, che fungono da polizia giudiziaria per la Santa Sede. A dare una connotazione ancor più peccaminosa a questa operazione, c’è il fatto che - oltre ai soldi della Banca vaticana - l’acquisto dell’immobile sarebbe stato finanziato anche utilizzando l’Obolo di San Pietro, ossia le offerte dei fedeli inviate al Santo Padre con lo scopo di essere ridistribuite a sostegno della Chiesa e delle opere di carità. Nulla di più lontano dalla «mission» descritta da Bergoglio nel discorso ai membri del Consiglio di Sovrintendenza del 24 novembre 2015. «Lo Ior non può avere come primo principio operativo quello del massimo guadagno possibile, bensì quelli compatibili con le norme di moralità, di coerente efficienza e di prassi che rispettino la specificità della sua natura e dell’esemplarità dovuta nel suo operare», aveva sottolineato il Papa riguardo la responsabilità che l’Istituto ha nell’amministrare le proprie risorse finanziarie e quelle ad esso affidate, «nel rispetto della dimensione etica dei propri investimenti ispirati alla fede cattolica e coerenti con la propria missione». La Santa Sede ha un patrimonio immobiliare distribuito in tutto il mondo (in gran parte in Italia), anche grazie alle donazioni e ai lasciti ricevuti che - secondo stime attendibili - ammonterebbe sui 9 miliardi di euro. In Italia i palazzi sono controllati principalmente da Apsa (l'immobiliare vaticana), da istituto religiosi come quello di Propaganda Fide e in parte dallo stesso Ior, che lo detiene direttamente e attraverso un’immobiliare interamente controllata: la Sgir (società per la gestione degli immobili di Roma). A bilancio, quest'ultima, ha circa 25 milioni di euro di immobili, ma ha anche numerosi contenziosi aperti per canoni di affitto non onorati. La Sgir, proprio per questo motivo, si è costituita parte civile nel processo che in Vaticano si sta tenendo nei confronti dell'ex numero uno dello Ior, Angelo Caloia, imputato per peculato e autoriciclaggio.