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Migranti a spese del Papa, parroci al verde

Il Vaticano mantiene 26mila profughi. Ognuno costa 900 euro al mese. Per loro i soldi si trovano. Non per i preti di frontiera fermi a 770 da 15 anni

Luigi Bisignani
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Caro direttore, Salvini sull'immigrazione è lo sceriffo cattivo, Bergoglio sembra essere quello buono. Ma entrambi sono a rischio. Salvini è rimasto solo, i suoi «compagni di merenda», il Premier Conte e soprattutto il Ministro degli Esteri Moavero Milanesi, non hanno alzato un dito per combattere alla radice questa tragedia siglando accordi con i Paesi da dove partono i barconi. Ma se Salvini è stato lasciato solo anche dalla Ue, Bergoglio, di suo, rischia una rivolta tra i sacerdoti italiani se non decide di mettere mano sul serio alla potente organizzazione, anche finanziaria, della Chiesa, al servizio della solidarietà. Le diocesi e le parrocchie locali, da sole, non hanno più risorse per raccogliere i profughi, né ricevono fondi straordinari per questa emergenza. Attualmente la Chiesa Italiana ospita nelle sue strutture 26mila immigrati e la Conferenza Episcopale Italiana, per ciascuno di loro, versa ogni mese 900 euro. Per accollarsi questa spesa la Cei è costretta a «raschiare» fondi con una logica che, dopo 4 anni dal primo annuncio di Bergoglio, sta sollevando una serie di malumori profondi all'interno del clero, che non riesce neppure più a riparare le tante chiese danneggiate. Ai sacerdoti, che spesso si ritrovano i rifugiati in casa, non sfugge che, mentre gli immigrati ricevono 900 euro mensili, chi li ospita, cioè i preti, ha uno stipendio base bloccato a 770 euro da 15 anni. Visto che gli inviti del Papa vengono regolarmente scaricati sulle spalle delle chiese locali, qualcuno aveva avanzato una proposta alla quale Bergoglio non ha mai dato seguito. I preti che lavorano in Vaticano godono di due, tre, quattro stipendi mensili, poiché hanno diversi incarichi, con un reddito medio di 2.800 euro e senza particolari spese. La proposta, appoggiata anche dalla Segreteria di Stato e fino ad oggi «top secret», era di lasciare ad ognuno solo il salario dell'impiego principale e destinare il resto a un «fondo immigrati e rifugiati» da usare per le Chiese italiane. Quando si parla di immigrati, però, neanche Francesco ha il coraggio di toccare le tasche dei signori della Curia. I preti «di strada» sono esasperati. Nel 2015, fedele alla linea della solidarietà, il bergogliano don Vinicio Albanese accolse 40 migranti nel modernissimo seminario di Fermo, pagandoli e trattandoli come i suoi seminaristi, ma dopo tre mesi hanno sfasciato tutto e tentato di incendiare i locali perché non erano contenti del vitto. Molti sono i conventi vuoti che potrebbero ospitare migliaia di immigrati, ma il Vaticano non ha giurisdizione diretta sui beni dei religiosi e neanche su tutti quelli delle diocesi. Quindi in periferia, senza aiuti concreti dai Sacri Palazzi, la misericordia resta uno slogan. Se vogliono incidere davvero, i due sceriffi Salvini e Bergoglio hanno una strada maestra: il primo contrastare a monte l'immigrazione, magari mandando i droni nei porti degli scafisti ad affondare le loro navi prima dell'arrivo passeggeri (è chiaro Signora Meloni?) - così da evitare anche la fiction di questi giorni tra Capitano e Capitana, oggi agli arresti domiciliari e domani certamente in Parlamento - il secondo attingendo tra le riserve dell'Obolo di San Pietro per aiutare i parroci ormai allo stremo. Il tempo dei tweet e degli appelli dalle reti televisive o all'Angelus è finito.

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