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La Cassazione su Massimo Bossetti: "Così ha ucciso Yara"

Le motivazioni della condanna: "Il Dna è il suo, nessun dubbio"

Davide Di Santo
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Non c'è dubbio. Ignoto 1 è Massimo Bossetti. Lo scrive la Cassazione nella motivazioni della sentenza del muratore condannato all'ergastolo per l'omicidio di Yara Gambirasio, scomparsa da Brembate di Sopra, dove abitava, il 26 novembre 2010 e ritrovata morta esattamente 3 mesi dopo in un campo non lontano dal suo paese. L'evidenza scientifica, sottolineano i giudici, ha "valore di prova piena". "Numerose e varie analisi biologiche effettuate da diversi laboratori hanno messo in evidenza la piena coincidenza identificativa tra il profilo genetico di Ignoto 1, rinvenuto sulla mutandine della vittima, e quelle dell'imputato".  Massimo Bossetti, "dopo aver prelevato la ragazza e averla stordita, l'ha trasportata nel campo di Chignolo d'Isola" - dove il corpo di Yara Gambirasio fu trovato 3 mesi piu' tardi - e i "tempi del prelevamento della vittima, del suo trasbordo sul campo di Chignolo e del ritorno a casa dell'imputato sono stati giudicati compatibili con il rilevato orario di rientro a casa alle ore 20-20,15, come si desume dalle dichiarazioni del coniuge". Cosi' la Cassazione, condividendo le conclusioni dei giudici del merito, ripercorre quanto accaduto il 26 novembre 2010, quando Yara viene vista per l'ultima volta uscire dalla palestra di Brembate di Sopra. Tra gli indizi valorizzati nel processo contro il muratore di Mapello, ricordano i giudici di 'Palazzaccio', "la presenza di calce nelle lesioni" rilevate sul corpo della vittima, dovuta, secondo gli inquirenti, all'"arma da taglio sporca di calce", la presenza di Bossetti, il pomeriggio della scomparsa di Yara, "in località prossima al Centro sportivo" con il "telefono spento" e "a bordo del suo autocarro", mentre egli "mai era stato in grado o aveva voluto riferire alla moglie, ai cognati e agli altri familiari cosa avesse fatto quel pomeriggio e quella sera". Bossetti "è passato e ripassato davanti alla palestra del centro sportivo - si legge nella sentenza - proprio in perfetta coincidenza con l'uscita della ragazza". L'"assenza di alibi", inoltre, "si coordina perfettamente con gli elementi indiziari emersi costituiti dalla compatibilità con l'orario di ritorno a casa - scrive la Cassazione - di Massimo Giuseppe Bossetti e il tempo necessario per eseguire l'aggressione e commettere l'omicidio nel campo di Chignolo". Per i giudici di piazza Cavour, l'imputato ha manifestato una "volontaria reticenza" sui propri spostamenti del 26 novembre 2010: "Non si tratta di un semplice silenzio, giustificato dal mancato ricorso a distanza di anni, ma piuttosto di una volontaria reticenza - si legge nella sentenza - di fornire spiegazioni su cosa avesse fatto nell'arco temporale di interesse, nonostante le precise sollecitazioni che i parenti e i famigliari gli avevano posto a distanza di soli 8 giorni dalla sparizione della ragazza". 

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